IL MALANDRINO  8 giugno 2013

Scritto da   MICHELE ROSATI

 

 

UNA NOTTATA PARTICOLARE

 

Il Nostro, che sarei io, si scusa con voi, affezionati lettori, per averci forse preso troppo gusto, ma tant’é che i numerosi complimenti ricevuti dopo la 100Km della Val d’Orcia, ovviamente per il resoconto e non certo per la prestazione, hanno solleticato la piaggeria personale, e cosí eccolo di nuovo impegnato a narrare, novello Don Chisciotte, l’ultima “quasi-impresa”.

Vi confesso che dopo essermi cimentato nella Ronda Ghibellina lo scorso Gennaio, ho passato una settimana a sbirciare i calendari dei vari trail e, come quei bambini che dopo esser riusciti a fare un tuffo con capriola si vedono al collo la medaglia d’oro olimpica dalla piattaforma o, ancor piú calzante, come quei podisti che abbassando di dieci secondi il tempo dell’anno precedente su una corsa del campionato provinciale sognano un giorno di vincerlo (... magari nella categoria UISP Z, 110 anni e successivi), mi sono visto, racchette e passo leggero, scavalcare il Monte Bianco, fare il giro della Val d’Aosta attraverso le sue cime, doppiare i vulcani delle Mauritius o, perché no?, partecipare alla prima edizione di un immaginifico Everest trail.

Discutendone con la consorte, ella mi ha palesato i suoi timori per un’anticipata crisi di mezza etá.

Dopo aver sentito l’esperto Amaddii raccontare della bellezza e della difficoltá dei percorsi del Malandrino, una lampadina si é accesa in me (od un circuito si é bruciato, dipende dai punti di vista!); quando poi Simone Fusi (il compagno fraternamente bastardo della 100Km, ricordate?), ha affermato che era troppo duro e non l’avrebbe mai fatto, la mission é stata chiara: iscrivermi e stuzzicare il guardingo cagnaccio a fare lo stesso.

La diagnosi di mia moglie é stata tranciante: repentina regressione a demenza senile!

Una volta visionata parte del percorso con un trail autogestito, ho subito abbandonato l’idea di trascinarvi anche Lorenzo Bianchi, perché oggettivamente troppo impervio per la sua conformazione delle  gambe ad assetto variabile con mignolino prensile; comunque i suoi discepoli possono andarne ancora una volta ben fieri, essendosi il simpatico Trottolino (copyright by Lucia Carlini) consolato con un’ottima prestazione al Passatore.

Quando ormai avevo perso le speranze anche con Simone, ecco che il canto della sirena (quello dell’ambulanza della neuro, intendo) é giunto finalmente alle sue orecchie: iscrizione fatta in extremis, con tanto di rinuncia ad una gara di pesca giá programmata.

A completare il terzetto senese non poteva infine mancare Luciano Magi che, in quanto a follia, non ha certo bisogno di esser stimolato .... non a caso nella lista iscritti figurava con il soprannome di Matto Billera: il piú diversamente giovane dei partenti.

Fatto il piú, non ci restava che partire .... ed arrivare.

Una volta ritirati i pettorali al mattino, consegnatici soltanto dopo uno scrupoloso controllo del materiale obbligatorio, sabato é stata una giornata passata con la famiglia ed amici (Fusi terzo figliolo) a ruzzare sui prati del parco di Galceti, con tanto di picnic, e ad osservare la sorprendente moltitudine di animali all’interno del limitrofo centro di scienze naturali. Il mio figliolo, quello vero, ha visto bene di improvvisarsi nutrizionista dei daini e cosí ho perso il conto di quante volte ho scalato insieme a lui la collina, munito di pomodori ed insalata: vista la sua lena ed il mio mal di gambe, il prossimo anno lo iscrivo al trail!

 

Al momento di accomiatarci dal gruppo vacanze che rientrava a Siena, Simone ed io ci siamo uniti a loro in uno spuntino energetico: panini con salsiccia e lampredotto al chiosco del trippaio! Una goliardata che si é comunque rivelata assai azzeccata, visto che recatici subito dopo al pasta party in zona partenza, all’interno del centro di scienze naturali, dopo una lunga attesa ci hanno portato un cucchiaio di riso ed un po’ di carne di tacchino con insalata e fagioli: menú appositamente studiato ed illustratoci dalla nutrizionista stessa .... molti di noi, visto l’ambiente, hanno incominciato a sognare polenta con capriolo od osei.

Una volta terminata la cena, sono incominciate le operazioni di vestizione per gli atleti ed é stata netta l’impressione che la tensione pre-gara salisse, visto il silenzio che é sceso sul gruppo, sino ad un momento prima piuttosto ciarliero .... silenzio a cui si sono uniti, forse per istinto di sopravvivenza alla polenta, anche gli animali dintorno.

La fauna umana dei trailers si é di nuovo animata dopo il briefing pre-gara, dove é stata confermata l’ultima parte del percorso sul crinale, poiché per domenica erano previsti soltanto piovaschi dopo le quattordici. Ormai eravamo tutti ansiosi di partire, chi eccitato e galvanizzato come il sottoscritto, chi preoccupato e lamentoso come il Fusi: da questo punto di vista il commento dell’organizzatore sulla tecnicitá dei primi quattro Km, dove aveva calcolato almeno cinque ritiri per infortunio, con tanto di allerta del soccorso alpino, non ha certo aiutato!

E cosí, a mezzanotte in punto, uno due tre e via! Dopo un breve giro sui sentieri del centro (gli animali avranno sicuramente pensato che chiusi nei recinti ci sarebbero dovuti stare quei duecento e piú lumini accecanti con zaino e bastoni) siamo usciti dal cancello e subito una lunga ed impegnativa salita verso la prima gobba del Monteferrato: gran colpo d’occhio la Via Crucis dei trailers su per questo pietroso Calvario, corrusca serpentina di anime in cerca di espiazione.  Conquistata la coda del gruppo, dopo un buon quarto d’ora di salita in single track, gli unici a parlare, o meglio urlare sproloquiando, eravamo noi tre: avessi preso nota di tutti i consigli dati dal Magi ad un sentimentalmente instabile Fusi, potrei dare alle stampe una raccolta di aforismi da far invidia a Wilde.

Giunti sulla sommitá, prima vista mozzafiato della piana di Prato illuminata; ma non ci si puó distrarre a guardare il panorama perché, come ci avevano avvertito, comincia una discesa breve ma veramente terribile: Luciano, facendo tesoro delle raccomandazioni, si lancia a vita perduta e lo perdiamo.

Eccoci, senza soluzione di continuitá, all’attacco della seconda gobba; uno spettacolo unico vedere lucine animate oramai ovunque: i ritardatari scendere nel colle dietro a noi e gli altri salire per centinaia di metri sopra di noi, tra i radi pini di un paesaggio quasi lunare, disseminato di aguzze pietre ricche di pirite, che a loro volta riflettono sberluccicanti le nostre frontali.

Dopo un’altra impervia discesa ed un falso piano immerso nel bosco, un lungo tratto in salita, alla fine del quale raggiungiamo di nuovo Luciano, ci porta al primo ristoro di Poggio Prato Tondo, dove gli allibiti presenti assistono ad un nuovo siparietto del duo Fusi & Magi, con quest’ultimo che pretende di bere usando la tazza dell’altro perché non ha voglia di prendere la sua dallo zaino ed il primo che gli confessa amabilmente che, per quanto lo riguarda, puó anche schiantare di sete; segue un affettuoso scambio di auguri reciproci, durante il quale io stesso approfitto per usare la tazza di Simone, assai piú capiente e funzionale del mio piccolo bicchiere pieghevole: lo show é adesso tenuto da un trio!

Durante la successiva salita dello Javello, non lunghissima, ma assai ripida, Simone ed io perdiamo definitivamente Luciano e teniamo un passo piuttosto sostenuto: sono io a fare da traino, preoccupato dei cancelli orari che, i fatti mi daranno ragione, ritengo abbastanza stringenti. Nella discesa delle Cavallaie sorpasso un paio di persone e perdo momentaneamente il Fusi: lanciarsi di notte tra i faggi, cui sono appesi triangolini catarifrangenti che indicano il sentiero, é veramente eccitante e divertente. Giunto su un ampio sterrato carrabile, cerco invano di sistemare il camel bag da cui non riesco ad abbeverarmi (tutto l’equipaggiamento stivato nello zaino comprime probabilmente il tubo), mi ricongiungo nuovamente con Simone e, dopo un lungo tratto che tende sempre a salire, imbocchiamo la salita dello Straccalasino: in effetti, una volta raggiunto il culmine, ragliamo piuttosto ansimanti.

Un impegnativa discesa ci porta al secondo ristoro di Cascina di Spedaletto (ventiduesimo km) e primo cancello orario, che chiuderá alle cinque: siamo in vantaggio di tre quarti d’ora e ci rilassiamo un po’. Il tendone appositamente allestito é pieno di concorrenti, molti dei quali giá visibilmente provati. Ci rifocilliamo, io vuoto stizzito il camel bag da cui non sono riuscito finora a bere un goccio d’acqua ed attacco allo zaino una borraccia pieghevole munita di moschettone che il Fusi si era portato di scorta: ancora una volta, come accaduto con l’antidolorifico nella 100 in Val d’Orcia, gli ansiosi si sono dimostrati assai utili, se non indispensabili, per gli incoscienti!  

Lasciato il ristoro, dopo un breve tratto di asfalto, ci immergiamo nuovamente nel bosco ... tanto per cambiare in salita. A questo punto rimaniamo soli e lo saremo fino allo spuntar del giorno, quando un volontario sul percorso ci dice che il prossimo ristoro di Collina Vecchia di Pistoia (il vecchio passo della Porrettana, prima che venisse scavato il tunnel) é a circa due Km. Continuiamo quindi assai blandamente, camminando anche nei tratti piú pianeggianti, ma questi due Km erano evidentemente in una curvatura spazio-temporale negativa, in quanto dopo una buona mezz’ora un altro volontario ci conferma la stessa distanza: su e giú per buchi neri arriviamo poco prima delle sette al ristoro del trentesimo Km, dove ci dicono che il cancello di Pracchia, otto Km piú avanti, praticamente tutti in discesa, é alle otto. Ma ricordo perfettamente (e trovo conferma nel road-book) che il cancello é alle sette e mezza; decidiamo di non rischiare e ci gettiamo a capofitto; negli ultimi Km di asfalto misto a sterro dimostriamo un’invidiabile freschezza sorpassando a velocitá doppia altri concorrenti. Inebriato dalla vista del posto di controllo, dove Roberto Amaddii ci attende ansioso per la spunta, sento dentro di me rombare gli elicotteri di Apocalypse Now: passiamo quindici minuti prima del tempo massimo.

Ristoro super-rapido, traversiamo il Reno ed imbocchiamo l’interminabile erta del Montanaro: otto Km con un dislivello positivo di mille e cento metri, compresi centocinquanta metri di discesa intermedia. La faggeta ne fa un ambiente idilliaco, soprattuto per Simone che, davanti a me, é a sua volta preceduto da un’avvenente biondina la quale, con ritmata e sensuale cadenza, gli ancheggia, vista anche la pendenza, praticamente in faccia: ora provate solo ad immaginarre lei, magnifica bicilindrica Ducati, che accompagna ogni colpo di racchetta con un tanto perfetto quanto conturbante movimento biella-manovella del lato B, ed avere invece davanti a voi il Fusi che ne imita il voluttuoso movimento, puntando sincrono  bastoncino e stendendo anelante la sua gamba ..... questo svalvolato Benellino tre marce non ha, ahimé, lo stesso effetto trainante sul sottoscritto!  

Ed infatti a metá salita arriva per me la crisi; sento dei conati di vomito e, nonostante lo sforzo, sono avviluppato da una sensazione di freddo allo stomaco (forse problemi di digestione). Sono costretto a rallentare sensibilmante la cadenza e, vedendo Simone interdetto sul da farsi, lo esorto a tenere il suo passo per non perdere il prossimo ed ultimo cancello. Non mi sento particolarmente stanco, ma non ce la faccio a correre neanche durante il tratto in discesa nell’incantevole foresta del Teso, cosicché, via  via che mi vedo sfilare dai concorrenti della Malandrinata partita alle otto da Pracchia e dai pochi ritardatari ancora rimasti in gara del Malandrino, mi lascio prendere da una sconfortante depressione, perché ormai convinto di non arrivare in tempo al successivo controllo: i baldanzosi elicotteri di Apocalypse Now sono un avito ricordo; adesso, ad ogni mesto puntare della racchetta, come accompagnassi il mio stesso feretro, rimbomba in me un lugubre rintocco di campana.

Con questa disposizione d’animo arrivo al ristoro del Montanaro poco dopo le nove e trovo il rifugio gremito di trailers piuttosto allegri e per nulla preoccupati; cosí mi metto a sedere e studio il road-book: in effetti al cancello della Croce Arcana del cinquantottesimo Km mancano dodici Km, ci sono numerosi saliscendi, ma ho tempo fino alle una. Rincuorato assai, lascio il rifugio ed imbocco un ripido strappo, senza ormai piú alberi intorno, che mi porta direttamente in vetta al Poggio dei Malandrini: e qui il cuore si apre davvero! La sensazione é quella di aver conquistato la vetta del mondo: lo sguardo spazia a trecentosessanta gradi, dalla piana di Prato ormai lontana al Corno alle Scale che si vede di fronte. Primo tratto di crinale, facile, e discesa breve e tecnica (nelle parti all’ombra si pesta un po’ di neve) fino al rifugio del Portafranca, dove é allestito un controllo a sorpresa del materiale per tutti i concorrenti.

Riconquistato il crinale, si entra leggermente sotto costa: il sentiero é abbastanza stretto e con impressionanti dirupi sulla destra, ma ben protetto sull’altro lato. La mia attitudine é definitivamente cambiata e, nonostante sia rimasto solo e non veda nessuno davanti, corricchio con piacere nei tratti a favore. In leggera salita, seguendo il frastagliato contorno del costone, arrivo al passo del Cancellino, dove il vento comincia a farsi sentire e le prime nubi minacciose ad addensarsi. Discesa su pascolo tipo alpino e davanti a me comincio a distinguere gruppetti di disperati che arrancano sulla parete del Corno alle Scale. La salita sembra dura, in realtá é molto peggio: un interminabile scalinata di alti gradoni, naturali e scavati nella roccia, sui quali mi isso incurvandomi con tutto il peso sulle racchette, sperando nella loro buona resistenza. Comunque non mollo e, forse per l’altitudine e l’ormai ben nota scarsitá di ossigenazione cerebrale, mi diverto e divento anzi euforico, raggiungendo diverse persone che fino a poco fa vedevo assai lontano. Una volta sulla sommitá del passo dello Strofinatoio stacco dallo zaino la borraccia prestatami da Simone e, alzandola al cielo, esclamo: “Altissima, Purissima, Levissima!”

Una lunga discesa che lambisce la parte terminale degli impianti sciistici di Corno alle Scale, traversando tratti piuttosto lunghi ancora innevati, porta ad un altro passaggio, a dir poco fatato: il Lago Scaffaiolo. Correre sulle strette sponde ghiaiose di questo piccolo specchio d’acqua montano, lambendo, fino talvolta a posare il piede sulla placida acqua, dá un senso di soddisfatto appaggamento per tutte le fatiche sofferte sin qui.

Finalmente si scoprono i ripetitori del passo della Croce Arcana, ultimo cancello della manifestazione al cinquantottesimo Km. Sono piú in basso rispetto alla mia posizione attuale ed il sentiero che vi conduce, osservabile nella sua interezza, sembra agevole: ma perché non vi scorgo nessuno? La risposta é presto data volgendo lo sguardo sulla destra, dove su un acuminato dente roccioso si stanno inerpicando, sbattuti da un vento ormai fortissimo, numerosi concorrenti: i sadici organizzatori,evidentemente non paghi della durezza del percorso, hanno inserito anche lo Spigolino. Riesco comunque ancora una volta ad avvantaggiarmi su chi mi precede e, nonostante a volte mi manchi l’appoggio dei bastoni spostati dal vento, raggiungo sempre piú euforico la vetta: “sempre piú in alto, Grappa Bocchino!”. 

La discesa, ripida, si dispiega su un vasto panettone erboso, dove i crochi straziati dal vento sembra vogliano involarsi insieme alle anime dei trailers che hanno ormai scontato le loro penitenze  ...  come colombe dal disio chiamate! Arrivano le prime gocce di pioggia e, mentre sono ormai in prossimitá del ristoro, tanta é l’eccitazione che mi sembra di essere Paul Newman in sella alla sua bicicletta canticchiare “Raindrops Keep Fallin’ on my Head”.

É vero che mancano ancora dodici km all’arrivo, i piú tecnici, sul crinale e con scalate impegnative, ma gli ultimi sette sono di discesa verso l’Abetone ed ho un’ora di vantaggio sul tempo limite. Magari riesco a riprendere anche Simone penso, ma onestamente non mi interessa piú di tanto: lo spirito é quello di una interminabile, magnifica cavalcata.

Comincia a piovere piú intensamente, ma la vera doccia fredda la dá il Gaggio, addetto dell’organizzazione, che mi ferma insieme ad altri tre concorrenti proprio all’ingresso del sentiero che porta al Libro Aperto, ormai invisibile dentro tetre nubi; la parte finale del percorso non é piú percorribile per motivi di sicurezza dovuti al maltempo: forte pioggia, freddo e fulmini in quota. Quando scopro che siamo proprio i primi ad esser fermati non posso far a meno di invidiare il Fusi che é giá passato ... comunque mi resta ancora il percorso alternativo, appositamente predisposto, per giungere al traguardo   ..... anzi no, appena imboccato il sentiero che scende vieniamo richiamati: la gara é interrotta.

Forse piú increduli che delusi, dopo comunque piu’ di quattromila metri di dislivello positivo percorsi, ci guardiamo l’un l’altro con le braccia ciondoloni. In quattro veniamo messi al riparo dentro un furgone Ducato, probabilmente usato per portare gli alimenti del ristoro; ci sediamo sul pianale e, una volta chiuso lo sportello, la luce si spenge, lasciando ognuno immerso nei propri oscuri pensieri. La buriana fuori fa addirittura oscillare il veicolo, il cui portellone continua ad aprirsi, facendo entrare, insieme alle violente raffiche, i reduci del lungo pellegrinaggio che vengono via via fermati.   

Quando siamo ormai fitti come immigrati clandestini, lo sportello si apre ancora: per una volta misericordioso, lo scafista di schiavi del trail ci smista sulle jeep che sono arrivate per riportarci a valle; arriviamo al rifugio della Doganaccia dove, finiti gli sbarchi di questi improbabili naufraghi, veniamo tutti raccolti su un minibus che ci porterá al campo di accoglienza all’Abetone. Durante il tragitto, molti telefonano preoccupati agli amici che non erano stati fermati alla Croce Arcana per avere notizie: da quanto si capisce, chi é ormai per la strada riesce ad arrivare in qualche modo al traguardo; io non riesco a contattare Simone, ma mi tranquillizzo un po’ .... anche se temo alquanto il suo eterno sarcasmo di glorioso finisher nei confronti del sottoscritto, scalcinato ritardatario.

Al traguardo, dove ormai sta diluviando, trovo Roberto Amaddii e Gaspare Belotti infreddoliti che prendono i tempi di coloro che continuano ad arrivare. Facendo due conti e sapendo che ormai pochissimi sono ancora sul percorso, anche il Fusi dovrebbe esser lí a momenti: infatti ecco che scende da una macchina dell’organizzazione inferocito! Il meschino é stato fermato qualche km dopo di me, ed é dovuto tornare pure indietro per essere recuperato. Non posso che calmarlo un po’ e sinceramente dispiacermi anche per lui, amico bastardo: nonostante siamo stati comunque classificati come finisher e coscienti del fatto che ce l’avremmo quasi sicuramente fatta, la delusione, inutile nasconderselo, é cocente!

.... ah giá ed il Magi in tutto questo, che fine ha fatto? ,vi chiederete voi. Non ce ne siamo dimenticati neppure noi, infatti siamo poi passati a prenderlo all’ospedale di Pistoia con la mano ingessata per la frattura di un dito in una caduta in discesa; era comunque arrivato al cancello di Pracchia, anche se fuori tempo massimo, e sembra non sia stato facile farlo desistere dal continuare senza pettorale.

Cosí mentre il Fusi, ritrovata la calma, si lamentava come suo solito e diceva che il Malandrino non l’avrebbe mai piú fatto (eventualmente solo la Malandrinata) ed io acconsentivo, il Magi era giá sicuro di poter fare, anche steccato, il trail dei monti Sibillini da qui ad un paio di settimane.

 .......non so voi, ma  ho come la sensazione che ci troveremo di nuovo allineati insieme alla partenza della prossima edizione .........