LE VIE DI SAN FRANCESCO 

LONG WAY

Metri 174.000
Dislivello positivo metri 7000
TERZA EDIZIONE
10 OTTOBRE 2014
La classifica
 

Scritto da   MICHELE ROSATI

 

 

ODE AL PELLEGRINO ERRANTE

 

   

Datemi o Muse forza ancor bastante

a degnamente celebrar gioie e pene

dello insavio peregrino errante.

Il Nostro, ormai completamente perdutosi nei lisergici fumi del trail, e credendosi pure Vate, perdipiú Sommo, come alcuni lo chiamano, benché sfinito dall’ultima follia compiuta, si aggrappa a qualsivoglia appiglio pur di autocelebrarsi.

 

Giá alla partenza senza sangue in vene

per lo incriccamento degli bastoni,

santa galenica in soccorso el viene 

 

chiamando lo spazzin dagli occhi buoni:

a caval d’ape due volte il soccorse ...

tal che alfine fumanti avea i coglioni.

Non bastasse il pensiero di oltre 170Km da fare, circa venti minuti prima della partenza da Attigliano, sbianca quando scopre di non riuscire ad estendere le fidate racchette telescopiche. Demente di panico, entra disperato nel negozio aperto piú vicino, la farmacia della piazza, dove la gentile nonché scaltra farmacista, non avendo del pentothal a portata di mano, gli dá peró il numero del sor Romano, lo spazzino tuttofare del comune, il quale, dopo cinque minuti esatti, si presenta sul rombante ape 50 con chiave inglese e svito a sbloccargli i bastoni e se ne riparte sgommando .... troppo presto, perché una parte della racchetta gira su se stessa senza ancora estendersi: e cosí ecco che il sor Romano viene interrotto per la seconda volta nello svuotare i cassonetti del cimitero e quando ritorna, a due minuti esatti dalla partenza, avrebbe voglia di mettere i bastoni del pellegrino dove non é lecito dire, senza peraltro usare ulteriore svito!

Partito non piú temette il forse

e gran festa fu lo passar da Giove

che alle pargolette mano ei porse.

Viene dato il via che ancora il buon soccorritore non é risalito sul suo ronzinante ed il Nostro, sentendo i bastoni ormai bisunti che gli scivolano tra le mani, capisce che gli astri sono a lui benigni e che prima o poi (... molto poi), tornerá al traguardo. Dopo circa 7Km, all’attraversamneto del paese di Giove, non riesce a resistere alla commozione dando il cinque a decine di mani di una scolaresca festante (.... forse proprio perché portata in strada fuori dalle aule): questo rimarrá tra i ricordi piú belli. 

Nota risuon romana in ogni dove

la voce che, accompagnollo in Valdorcia,

ed or trova alle inusitate prove.

Ed ecco che, tra le voci entusiaste dei trailers a commentare il bellissimo tifo dei bambini che intanto va smorzandosi alle loro spalle, riconosce lo stentoreo timbro romanesco di colui con il quale percorse insieme gli ultimi 2 Km e taglió il traguardo del Tuscany Crossing. Essendosi allora detti solo poche parole e visti reciprocamente come due lumini spersi nelle tenebre, hanno adesso il tempo di fare conoscenza percorrendo insieme altri Km alla luce del sole e dandosi orgogliosamente a vicenda del deficiente per essersi buttati in una distanza ad entrambi ignota. 

Erta di Penna la via non accorcia;

a spolta Amelia grata fu la scorta

per sfidare ancor la rovente torcia,

Come ben si conviene ad ogni trail, per raggiungere un qualsiasi punto, viene scelta sempre la via che offre un maggiore dislivello e cosí, dopo essere scesi al Tevere, risalgono verso Penna e poi, sotto un sole cocente, ad Amelia, dove il rifornimento era stato letteralmente assaltato da coloro che li avevano preceduti (in pratica tutti tranne la scopa). Per questo motivo si é rivelata assai azzeccata la scelta di portarsi dietro un trancio da 8 etti di parmigiano (opportunamente spezzettato) e miele.

che gente ancor all’inizio fe’ morta.

Tosto avvisato,  sí beve a Porchiano,

che a Lugnano manca ei solo la torta.

Ed infatti, appena lasciato il paese, comincia a raggiungere le prime  vittime del caldo, pur essendo solo al trentesimo chilometro. Fa tesoro di questa esperienza al successivo ristoro di Porchiano, dove ingurgita tanta di quella roba gassata da farlo procedere a rutti in retrorunning fino a Lugnano. Qui, primo cancello orario della gara, decide che non si ritirerá certo per una crisi di fame. Si prepara alla notte con pasta al pomodoro, pasta al pesto, 2 salsicce, 2 birre e caffé: non c’é piú posto neppure per il dolce!

Finor godé dell’insperato piano,

ed or che sole scende e strada sale

il passo lo reca poco lontano.

 

Il percorso fin qui tutto sommato agevole, piú da ecomaratona che da trail, gli ha fatto superare i 40 Km in meno di otto ore, con piú di quattro ore di vantaggio sul cancello orario. Ma ora che la strada si impenna per davvero ed il sole volge al desio, la musica cambia e il ritmo rallenta decisamente.

Suso prima tenebra lo assale,

eppur sí scende a Santa Restituta

ratto, che delle ossa poco gli cale.

 

Una volta raggiunto il culmine del primo valico, a circa 750m di altezza, é ormai cominciata la prima notte, ma ciononostante, essendo ancora fresco e sentendosi piacevolmente sovralimentato, si butta a capofitto in discesa, incurante del pericolo, verso il successivo ristoro di Santa Restituta.  

Dell’erta sol briciola n’avea avuta,

quando lo mondo rischiara Selene

tutto: che fai tu Luna in ciel? Scruta

 

benevola e del pellegrin le pene

allevia, che in sommo al Poggio Pelato

si chiede se a Francesco stesse bene.

Alla ripartenza realizza che fino ad allora aveva avuto solo un assaggio della salita: adesso il sentiero si impenna fino al culmine del Poggio Pelato, oltre i 1000 metri, dove non esiste piú traccia ma solo bandierine ad indicare la via tra i sassi. Si puó ammirare il panorama a 360 gradi, dal lago di Corbara, ad Amelia a Orvieto a Todi ed oltre, il tutto magnificamente rischiarato dalla luna piena, che quasi non fa sentire fatica alcuna al nostro eroe il quale, non avendo altri con cui discorrere, novello Leopardi, la interroga, cercando la conferma ad un dubbio che improvvisamente lo assale: ma si é davvero inerpicato quassú, ottocento anni prima, il buon Francesco? A fare?

 

Or lo dirupo scende ma ingrato,

ed al fatidico bivio sicuro

el va dove anco lo nome é restato

 

di clara famiglia ed or gruppo scuro.

Ah come lieve sorbir caldo brodo

fa lo primo ridiscender men duro!

Non ha peró molto tempo per dedicarsi a qualsivoglia meditazione introspettiva, in quanto finalmente la strada scende, ma in maniera talmente ripida ed accidentata che serve la massima concentrazione; comunque, quando giunge alla deviazione sulla sinistra per il percorso “corto” di 100 Km, nonostante sia partito giá da quattordici ore, non ha esitazione alcuna nel prendere a destra per risalire e poi ridiscendere ancora a Civitella dei Pazzi, ameno borgo che deve il suo nome all’illustre famiglia di banchieri fiorentini e che ora si sposa perfettamente anche con lo stato mentale di questo folle manipolo di ultratrailers. Continuando nel tour gastronomico, questo é il turno di un buon brodo caldo, assai ristoratore, che rende, almeno inizialmente, piuttosto piacevole il prosieguo della discesa verso il il lago di Corbara.

 

Sí picciol accosto a chi in magno modo

sbarra lo corso del latino rivo,

al ristoro financo esclama: io godo!

Costeggiato lo spettro lacustre per un po’, si scende sotto la maestosa diga e si attraversa il Tevere, ridotto ad un piccolo ruscello dal possente sbarramento. Giunto finalmente a Corbara, dove il ristoro é stato allestito dentro una pizzeria, munita di fresca birra alla spina, il Nostro non manca l’occasione di celebrare degnamente il raggiungimento dell’ottantesimo Km.

 

D’intelletto ma non di forze privo,

quando Elio sale vede ormai Orvieto:

a pie’ di rocca facile l’arrivo,

 

ma di funicolar ei ha il divieto

e mentre erta dura garetti  morde,

al sommo lo sgarbo si fe’ completo.

Siamo agli sgoccioli della prima notte e la mancanza di un letto comincia a farsi sentire, con i primi sintomi di dissociazione mentale dal contesto: ossia il pellegrino percorre lunghi tratti senza minimamente rendersi conto di dove sia e del perché, ammesso ne esista alcuno plausibile. Tutto sommato le gambe reggono e, dopo aver attraversato il Paglia su un ponte pedonale ed esser passati sotto l’autostrada, si arriva alla stazione di Orvieto passando proprio davanti alla partenza della funicolare che, beffardamente, é in attesa dei primi passeggeri del mattino. Per la salita alla cittá alta viene ovviamente scelta la via piú disagevole, ossia una sorta di tratturo pavimentato che corre parallelo ai binari della funicolare stessa la quale, ennesima verifica sperimentale alle leggi di Murphy, puntualmente scarica i rilassati turisti alla stazione di arrivo proprio quando il Nostro vi transita davanti, orrendamente ripiegato sui bastoni, sputando fuori gli ultimi brandelli di polmone. 

Si sente  pugnator un po’ alle corde,

sí che benedetta fu stesa branda:

breve riposo e fauci ancor ingorde

 

eccolo di nuovo ad attaccar banda,

giuso e suso va al monastero santo

ed or in doglia corre l’umbra landa.

 

Provvida scorge lampeggiante al canto

croce, e d’Oki scorta fe’ lui a Porano,

anco se di droga non si fa ei vanto.

Sentendosi, come si suol dire, con le pive nel sacco, il combattivo pellegrino arriva piuttosto mogio nel cortile della vecchia caserma dove é allestito il ristoro e dove, lieta sorpresa, sono state poste anche alcune brande. Pur non riuscendo a dormire, quindici minuti steso con gli occhi chiusi ed alcune bruschette farcite ulteriormente con formaggio, prosciutto e salame lo rimettono al mondo, cosicché riparte pimpante ad imboccar la ripida discesa che lo riporta ai piedi della cittadina, per poi inerpicarsi nuovamente nel colle vicino dove, pervaso da mistica quiete, attraversa il parco del convento dei Cappuccini, da cui si gode un’altra magnifica veduta di Orvieto. Visto il paradiso con gli occhi, quando i piedi cominciano a fargli assaggiare l’inferno ecco che, entrando a Porano, scorge all’angolo di una via l’insegna lampeggiante di una farmacia e si comporta piú o meno come un tossico in astinenza alla vista del pusher, facendo incetta del comune e potente antidolorifico, pur volendo sottolinenare come questa sia una pratica a lui comunemente avulsa e di cui un po’ si vergogna ...... a differenza di chi sbandiera che prima delle gare prende Oki a colazione!

Placido dolci dune com sultano

corre, e persin sovra lo scempio unto

la remora del serpe agisce invano;

 

che al destin fatale sia forse giunto?

Della cittá dolente varca il passo

e per l’orrido maggese  compunto

 

scende, mirando guardingo dabbasso:

se certo aspettossi temibil guado,

allo spinato fil ebbe collasso!

 La portentosa pozione fa il suo effetto, tant’é che i successivi chilometri dolcemente ondulati tra gli olivi li corre, o meglio cammina a passo rapido, sentendosi beato come un pasciá e calpestando la morbida coltre di olive che la rovinosa mosca ha mandato al macero. Neppure una vipera che gli attraversa sibilante la strada a pochi metri riesce a cambiare di molto la sua disposizione d’animo .....

.....di lí a poco, giunto al Botto (toponimo che ben si sposa con lo stato psicofisico del pellegrino), ci riesce peró un cancello di quasi due metri che trova chiuso (il contadino probabilmente non si aspettava altri folli passare a circa quindici ore dai primi) e che deve scavalcare, per poi ritrovarsi in un campo incolto talmente ripido che neppure i bastoni riescono a puntellarlo piú di tanto: sembra proprio aver varcato l’adito all’inferno di dantesca memoria.

Percorrendo l’impervia discesa giá si rende conto che a fondo valle ci sará un torrente completamente avviluppato nella macchia il cui guado non sará uno scherzo; tuttavia vi riesce senza neppur bagnarsi i piedi quando, sull’altra sponda il passo é sbarrato da un filo spinato ben teso e con tanto di filo elettrico: non rimane che lanciare lo zainetto al di lá e strisciarvi sotto stile marines al D-day ..... ta-ta-ta-ta-ta....ta-ta, risuona il ritornello di Indiana Jones nella sua testa.

“Ci sará foco o di piombi tornado?”

Si chiede scalando l’argine ardito

e anco rispondesi: “ormai piú ci bado!”

Piú divertito che infastidito dagli inaspettati ostacoli, mentre scala il pendio dall’altra parte, altrettanto impervio che la discesa appena percorsa, si chiede se gli organizzatori non abbiano predisposto rotoballe incendiate da lanciare contro i concorrenti oppure dei cacciatori che sparino loro dalle poste alla beccaccia: giunti a questo punto non farebbe probabilmente piú caso a niente!

 

Alfin il peggio sembra ormai finito:

 facil scende a riguadar magno fiume

e a Baschi giunge sin troppo compíto.

 

Ancora una volta il percorso dá un’inaspettata tregua, scendendo agevole al Tevere, che viene superato percorrendo il ponte della statale. Costeggia per qualche chilometro l’autostrada, vi passa sotto e, quando giunge a Baschi, cancello orario del centotrentesimo chilometro, é rilassato e soddisfatto.

Che or l’abbandoni del trail sacro nume,

al volger poco piú di maratona?

Lecito par tener suso le piume:

 

banchetta ché notte non sia padrona.

Mirabil scatto dall’infanta chiesto

al padre amico, gamba el perdona

 

ed or spinge secura giacché presto

giunga, ma frena pancia al troppo colma

e all’egro uliveto dette l’innesto.

 

Che l’angelo custode l’abbandoni proprio adesso, quando manca poco piú di una maratona al traguardo? Il dubbio non lo sfiora neppure e cosí non ci pensa affatto ad abbassare la cresta.

Anzi, tanto per cambiare, si abbuffa ancora con bruschette ed affettati in una sorta di banchetto propiziatorio per la notte che lo attende, insieme ad un compagno di avventura che ha raggiunto al ristoro e con cui decidono di fare insieme l’ultima parte. Come espressamente richiesto dalla piccola figlia del nuovo amico Saverio, presente per incitare il babbo, devono lasciare il ristoro a corsa. 

 Le gambe gli perdonano questa follia, sia perché vogliono arrivare il prima possibile sia perché, soprattutto, si mettono a camminare appena girato l’angolo. Alla fine tutte le mangiate degli ultimi ristori si fanno sentire e il Nostro non puó far altro che prodursi in una, sit venia verbo, altrettanto pantagruelica deiezione, nella speranza che questa panacea concimatrice possa esser di giovamento agli ulivi malandati per la giá citata mosca.

Ancor l’astro cala e tenebra forma

prende, che saliti lenti a Montecchio

giungon a Guardea come om che dorma.

 

Ed intanto scende la seconda notte mentre lentamente raggiungono il successivo ristoro di Montecchio. Si riposano un po’ e ripartono per Guardea penultimo ristoro a circa otto chilometri, dove arrivano in quasi due ore ormai ridotti ad assonnate anime erranti.

Brama della méta sale parecchio

e di certo Alviano non é lontana,

ma luna sta nel ciel e non in secchio.

 

Ultimo tratto mente fe’ sí insana,

che sol parlar collo Virgilio fido

salvalo dai fantasmi con bandana.

 

Ormai non vedono l’ora di arrivare ed i cinque chilometri di bosco che li dividono da Alviano, ultimo ristoro, li fanno spediti, perlomeno rispetto ai precedenti, ed in un’ora scarsa sono lí. Ma é come non avesser raccolto ancora nessun frutto della loro fatica: si rendono conto gli ultimi venti chilometri che li dividono dall’arrivo, attraverso dirupati calanchi, di notte e senza ristori intermedi, saranno un’odissea. Ci si mettono pure le allucinazioni ed il Nostro novello Dante, cui le bandelle con catarifrangente che segnalano il percorso sembrano minacciose facce di briganti, viene misericordiosamente sostenuto dalla sua esperta guida.

Mentre penoso agogna il caldo nido,

desto il tiene parlare d’alte imprese:

possibile aver siffatto libído?

 

Deliranti Attigliano li sorprese

e al fondo  quieto di deserte strade

 Stratego solo con bacio li attese;

 

eppur gioia  cuor turbinosa invade

a compiacer questa e le nuove imprese:

questa é, signori, del trail la beltade!

 

Paradossalmente, ormai allo stremo delle forze e disperatamente bisognoso di un caldo e soffice letto, lo tengono sveglio ed in sé i racconti di altri folli trail fatti dal compagno di viaggio. Siete liberi di non crederci, ma pur in queste miserande condizioni, lo stolto viandante vola giá con la mente ad altri pellegrinaggi da farsi al piú presto e, cosa assai piú grave, ne prova un profondo piacere.

 

Persi in racconti di passate e progetti su future folli imprese, nonché preda di vieppiú frequenti allucinazioni sensoriali, arrivano ad Attigliano senza quasi rendersi conto di essere all’arrivo dopo 173 Km e piú di 7000m di dislivello positivo percorsi in poco meno di 43 ore, non fosse per il caloroso abbraccio e l’affettuoso bacio sulle guance che dá loro Raffaello Alcini, l’organizzatore della gara che, praticamente da solo, li attende sulla linea del traguardo alle cinque della domenica mattina.

 

Nonostante questo arrivo in sordina, una compiaciuta gioia invade il Nostro, non tanto per quello appena fatto ma per quanto si rende conto che é in grado di fare. Si sente come il “Ragazzo Sogna” che canta Vecchioni e non importa se rimarrá un giorno deluso come Antoine nei  “Quattrocento Colpi” di Truffaut: per adesso ci sono ancora innumerevoli traguardi da conquistare e tanto basta!