Nonostante l’aria
frizzante per le medie stagionali, la primavera è ormai
giunta e così anche il sottoscritto orso pelandrone si
appresta ad uscire faticosamente dal lungo letargo
invernale, cui una viziosa ignavia ed un conseguente morbido
strato adiposo accumulato hanno fatto da confortevole e
piacevolissima coltre. In realtà era un risveglio
programmato fortunatamente da tempo, visto che i 250 posti
disponibili per lo Sciacchetrail 2016, seconda edizione, si
sono esauriti già a Gennaio, tre mesi prima dell’evento:
considerate la bellezza del percorso e la perfezione
organizzativa prevedo che negli anni a venire sarà
necessario muoversi con ancor maggiore anticipo. Decidendo
di arrivare a Monterosso dalla Spezia, il sabato mi faccio
già una sorta di trail motoristico tentando di aggirare la
frana che sbarra la strada principale proprio nell’ultimo
tratto, tra l’altro segnalata sin dal capoluogo e, grazie
anche alle provvidenziali indicazioni di un netturbino di
origini sudamericane, percorro un tratto di strada,
definizione da cui mia moglie dissente in toto, il cui
transito è consentito ai soli mezzi autorizzati; mancando il
Magi non posso che autorizzarmi da solo: se riesco così ad
evitare l’umiliante dietrofront condito dai “te l’avevo
detto” della consorte, nulla mi può salvare dalle sue
inviperite rimostranze! Intersecando il percorso
dell’indomani in più punti riesco a fare pure una sorta di
ricognizione del tracciato fin quando, giunti finalmente
alla mèta, parcheggio in uno dei posti gratuiti lasciati
dall’organizzazione a disposizione dei partecipanti.
Il tempo è splendido e ci svacchiamo sulla spiaggia, godendo
di un sole ben più che tiepido immersi nella stupenda
cornice del golfo di Monterosso, incastonato tra punta Mesco
e punta Corone. Preso possesso dell’alloggio in pieno centro
storico, a 50 m dalla partenza, assistiamo anche al mini
Sciacchetrail, corsa tra i vicoli e le scalinate del paese
dedicata alle categorie giovanili, con tanto di briefing
pre-gara e pettorale ufficiale della manifestazione con il
nome del giovane atleta stampato .... per la prima volta ho
visto gli eredi, ancora ahimè troppo piccoli per
parteciparvi, attratti da questo perverso mondo!!! Altro
punto a favore degli organizzatori la ricchezza improntata
all’utile del pacco gara, con la presenza di prodotti
alimentari tipici, calzini ed una bella felpa con cappuccio,
congiuntamente all’assenza di quelle ciofeche di maglie
pseudo-tecniche ormai in odio anche ai più bisognosi, visto
come da anni non ne trovi uso migliore che riempirne i
raccoglitori della Caritas. Il tempo scorre veloce tra i
numerosi stand con prelibatezze alimentari, degustazioni di
vini e tanto altro ancora, così quando mi presento con un
boccale di ottima birra artigianale della Lunigiana nella
sala comunale intitolata a Gino Pollicardo, monterossino
liberato(si) in Libia pochi giorni fa, il briefing pre gara
è ormai alle battute finali, ma faccio giusto in tempo ad
avere la gradita conferma che il pasta party (vedremo poi
come tale definizione sia a dir poco limitante) sarà
garantito a tutti gli atleti che giungeranno entro il tempo
massimo: mi è ormai chiaro che l’indomani, comunque vada,
sarà un successo! Degna conclusione di questa vigilia è la
cena con famiglia, anch’essa prenotata per tempo, in un
ristorante stellato dalla location assai suggestiva, capace
di far dimenticare alla moglie i problemi di viabilità
regionali.
Lo start è previsto alle 6:30 e quando mi alzo dal letto
un’ora prima è ancora buio; la quantità di cibo e bevande
ingurgitati il giorno precedente mi impediscono di fare una
delle mie proverbiali colazioni pre-gara e così mi
accontento di una misera fetta di pane e marmellata; esco di
casa alle 6:15 che comincia ad albeggiare e mi porto nella
zona di partenza sul lungomare, già abbastanza affollato.
Visto che è prevista salita praticamente sin dall’inizio,
decido di allungare i miei tecnicissimi bastoni, eterno
capitolo sventurato dei miei racconti, come i miei più
affezionati lettori ben sanno ..... ora io non so se ciò
dipenda dall’inesorabilità degli enunciati di Murphy, dalla
ciclicità ricorsiva degli eventi storici illustrata da Vico,
senza star qui a scomodare l’immaginazione produttiva del
noumeno di Kant: fatto sta che mentre uno si allunga senza
problemi nell’altro non c’è verso di sbloccare ed estrarre
la parte telescopica estensiva. Mancano dieci minuti al via:
serve un’azione rapida, efficace e soprattutto no panico!
Ecco che la teoria di Vico sembra materializzarsi nel camion
della spazzatura che sta svuotando i cassonetti: corro
dall’operatore e gli chiedo se abbia degli attrezzi o se ce
la faccia lui stesso con le sue possenti mani; ahimè
entrambe le opzioni non vanno a buon fine e non ho tempo di
aspettare un suo ritorno come fu in una situazione analoga
due anni or sono ad Attigliano alla partenza delle Vie di
San Francesco. Giusto il tempo di maledire la vichiana
genialogia e mi precipito nell’unico bar aperto chiedendo
alla barista se abbia a portata di mano delle pinze o
qualcosa di simile: è con miracolosa naturalezza che,
presolo direttamente da dietro al bancone, mi porge un
piccolo pappagallo (ad uso di donne ed infermieri voglio
specificare che non si tratta nè di un cinguettante
bengalino nè di una versione aggiornata del pitale, bensì di
una geniale applicazione dell’archimediana leva di primo
tipo particolarmente cara agli idraulici ed ai trailer
sciaborditi); con il prodigioso utensile e l’aiuto di un
collega ritardatario che sta facendo colazione riesco
finalmente a sbloccare il meccanismo e ci presentiamo
puntuali, non un secondo prima non un secondo dopo, alla
partenza.
Finalmente si parte ed imboccata la galleria per Fegina
proseguiamo lungo mare fino al sentiero che sale ripido,
anche con tratti di scale, su punta Mesco e proseguiamo in
cresta avendo a destra una magnifica vista delle Cinque
Terre ed a sinistra sul golfo di Levanto. Mentre
corricchiamo in fila indiana su un tratto con saliscendi
piuttosto agevoli ecco che, preannunciato da un rumoroso
sfrondar di frasche, si affaccia sul sentiero un grosso
cinghiale: come per magia la ragazza che mi precede e che
fino a quel momento aveva rintuzzato tutti gli attacchi con
traiettorie degne del Bruschelli dei tempi migliori, me la
trovo alle spalle che, terrorizzata ma non al punto di
perder troppo tempo, mi spinge a combatter la suina
belva.... fortunatamente questa, guardatasi intorno, capisce
che non è aria e se ne torna repentinamente nella macchia,
al che tutto il gruppo a pontificare sulla naturale
mansuetudine degli animali ..... ma un diffuso olezzo
sulfo-boracifero persistente, se escludiamo un improbabile
attacco collettivo di meteorismo aerofago, smentisce senza
appello questa come teoria maggioritaria della prima ora!
Arriviamo al bivio di Colla di Gritta dopo una divertente
discesa nel bosco e percorriamo 1Km abbondante di asfalto in
leggera discesa lungo la strada per Monterosso fino ad
imboccare il bel sentiero in salita piuttosto impegnativa
che ci porta al Santuario di Soviore dove, proprio davanti
al ristoro, un gigantesco cipresso ultracentenario dal
tronco fortemente inclinato sembra volutamente farsi beffe
dei trailer che arrivano con le mani sulle ginocchia e la
schiena curva, perfettamente parallela ad esso.
Continuiamo a salire su asfalto, dove a malincuore
corricchio per non distinguermi troppo dal gruppone cui
appartengo e piazzo addirittura una piccola volata per
imboccare davanti il sentiero che scende sulla destra e
definito tecnico nel road-book: in effetti alcuni tratti,
immersi nell’odorosa brughiera mediterranea, scendono
impegnativi e consentono solo a tratti di godere della
splendida vista del mare turchese circa 400 metri a piombo
sotto di noi.
Raggiungo un altro gruppetto in prossimità del ristoro
idrico all’incrocio con la strada asfaltata lungo la quale,
dopo il passaggio dal Santuario della Madonna di Reggio,
proseguiamo in salita per un tratto abbastanza lungo
accompagnati da una camionetta dei pompieri, che va su e giù
per i tornanti a sirene spiegate tipo Miami Vice alla
ricerca di un misterioso trailer infortunatosi. Entrati nel
bosco continuiamo a salire verso il Malpertuso, cima coppi
del trail con i suoi 800m; quando inizio finalmente a godere
della mistica quiete della foresta eccoti riapparire da un
tratturo laterale la camionetta dei pompieri ancora alla
ricerca del meschino: mi trattengo a stento dal dire loro
che probabilmente a quest’ora lo stanno dimettendo dal San
Martino di Genova!
Valicata la selletta comincia un lungo ed inaspettato tratto
di sentiero, praticamente pianeggiante, con leggere salite e
discese immerse nel bosco, che si affacciano a volte sul
mare a volte sulle vallate interne dello spezzino. Corrervi
è veramente un piacere e così passano veloci i Km, passa un
ristoro idrico, passa una salitella un po’ più impegnativa
da camminare, passano nuovamente i Km sempre a favore ....
insomma alla fine mi sono proprio rotto di correre ed arriva
opportuno il ristoro del ventisettesimo Km sul monte
Telegrafo, nonchè primo cancello orario della gara. Scoperto
con piacere di aver quasi 2 ore di vantaggio sul tempo
limite e più che soddisfatto del lungo allenamento fin ora
effettuato, decido immantinente di voler evitare qualsiasi
tipo di crisi e sofferenza godendomi, ancor più da turista
che da pellegrino, la seconda parte del percorso, che si
preannuncia paesaggisticamente stupenda.
Così dopo dieci buoni minuti di sosta a gustarmi del
parmigiano direttamente staccato dalla forma ed accompagnato
da ottima birra artigianale, imbocco la lunga discesa che, a
tratti tecnica, ci porta al santuario di Montenero dal cui
antistante piazzale si gode una vista magnifica della
variopinta Riomaggiore trecento metri in verticale più in
basso e di tutte le Cinque Terre fino al golfo di Monterosso,
dove il primo sta tagliando il traguardo. Molti volontari si
raccomandano di fare attenzione alla seconda parte della
discesa su ripide scale con pietre umide e scivolose che
sembrano aver già fatto numerose vittime e causato alcuni
ritiri, anche eccellenti .... il mio passo turistico mi
permette di affrontarle in assoluta sicurezza e senza
neppure un abbozzo di scivolata!
Faccio quindi il mio ingresso a Riomaggiore non
particolarmente provato, ma mi si para innanzi una
visionaria scena felliniana cui la mia curiosità di reporter
non può farmi esimere da assistere, visto che tra l’altro il
ristoro dove è ancora presente la gustosa birra, posto ad un
angolo della piazza della chiesa, ne è punto di osservazione
privilegiato: in occasione della Domenica delle Palme una
strampalata processione fa il giro intorno alla piazza
terminata da un caracollante prete che spinge il suo
grottesco gregge, portando al posto della Croce un palo di
legno dove in cima sono montati due gracchianti megafoni, da
cui esce un Osanna cantato “live” nella maniera più stonata
ed acusticamente lesiva che i miei timpani mai abbiano
udito, roba da far sembrare un garbato usignolo il Muzzi che
da ragazzi ci radunava alla partenza con le sue litanie
profane!
Finalmente, entrati tutti in chiesa, me ne riparto allegro
e sto cominciando a correre per la via che esce dal paese
quando, alzando gli occhi al cielo e vedendo i miei colleghi
inerpicarsi su infiniti gradoni nella scarpata di fronte
sopra la galleria della ferrovia, me ne torno a più miti
consigli; proprio in quel momento sopraggiunge un collega
dall’accento spiccatamente calabrese che mi invita a correre
insieme. Declino gentilmente l’invito mostrandogli cosa ci
aspetti a breve, al che lui replica sicuro “Ommai è fatta,
du’ o tri’ cazzatelle ci stanno ancora!”. Sebbene il profilo
altimetrico gli dia ragione, ritornando al noumeno kantiano,
credo a quello che vedo ... e che purtroppo esperirò a
breve! Passano infatti non più di dieci minuti che, mentre
faticosamente arranco spingendomi sui bastoni con i palmi
delle mani usando tutta la forza delle braccia (a tre giorni
di distanza ho ancora male ai tricipiti), lo raggiungo fermo
ed ansimante e in tono scherzoso gli dico “Cazzatelle eh?!?”
.... e lui, con l’ultimo fiato, pronto conferma “Adda faccia
du ca..o!!!!”.
Finisce il tratto di scale ma la salita continua ripida
attraverso le vigne fino alla sommità del capo, da cui si
apre un altro scorcio idilliaco sulla sottostante Manarola,
il cui demiurgo sembra esser stato un vivace bambino dalla
colorata spensieratezza. Noi però continuiamo più o meno in
piano, tra filari di viti e stupendi arbusti di erica
candidamente fioriti fino a ad una breve discesa che ci
porta a Groppo, dove il ristoro è allestito all’interno
della cantina sociale: constatato amaramente che tutte le
botti sono prive di cannelle, non mi resta che ristorarmi
ancora con la birra!
Sempre più ebbramente felice me ne scendo trotterellando a
Manarola con un trailer locale con cui sorseggio l’ennesimo
bicchiere del magnifico integratore alcoolico, necessario
per affrontare la successiva “cazzatella” che, sebbene più
lunga della precedente, escluso un primo tratto assassino
che si inerpica nel colle dove viene allestito il famoso
presepio illuminato, ci porta un po’ più dolcemente fino a
Volastra. Ancora un ristoro (l’ottavo!) davanti alla chiesa
con comode panche di pietra all’intorno: decido di godermi
appieno il giorno di vacanza e, con la scusa che fa un sacco
di schiuma, santifico domenica libando per ben tre volte la
deliziosa ambrosia.
Quando mi rialzo avverto dei capogiri; fatta un’attenta
auto-anamnesi, mi pare poco plausibile l’ipotensione
ortostatica dovuta ad uno stato di atonia per sforzo
eccessivo, perlomeno rispetto ad un intossicazione acuta da
etanolo .... insomma mi rendo conto di essere ubriaco
fradicio! Un motivo in più per camminare bellamente i
successivi Km, perfettamente pianeggianti, che seguono il
fianco della montagna quattrocento metri sopra il mare ed
offrono uno spettacolo unico che non ardisco neppur tentare
di descrivere: chi conosce già la zona capisce cosa intendo,
mentre raccomando a tutti gli altri di visitarla al più
presto. Quando sotto di me fa la sua scenografica comparsa
Corniglia, abbarbicata su uno sperone di roccia a picco sul
mare, è tempo si scendervi a rotta di collo: oltre allo
stato di alterazione etilica che attenua la percezione del
pericolo, a spingermi è anche un senso di arsura alla gola
che ormai rifiuta la volgare acqua, facimente identificabile
nella crisi di astinenza di un alcolista.
Dato l’ennesimo gotto me ne parto sempre più euforico verso
Vernazza e lungo i brevi ma intensi strappi del sentiero
riesco pure a dar sfogo alle velleità agonistiche ormai
sepolte da tempo: se infatti è da diverse ore che non faccio
caso ai trailer che mi raggiungono e sorpassano, un’allegra
famigliola tedesca alle prese con un trekking dal passo
veloce che prima si fa da parte e poi si accoda tallonandomi
da presso, mi spinge a rivendicare il mio status di trailer
professionista; provo così un sadico godimento nel sentire
alle mie spalle il fiato sempre più corto dei crucchini
adolescenti e del loro teutonico genitore, mentre la
valchiria ormai staccatasi li invita invano ad aspettarla.
Supero Prevo di slancio ed imbocco deciso, direi quasi fuori
controllo, la lunga e difficile discesa che porta a Vernazza,
altra variopinta gemma che fa scenica comparsa sotto i miei
piedi con la sua piscina naturale dove sembra possibile
tuffarsi direttamente.
Raggiunto l’ultimo ristoro, quando mancano ormai tre Km e
mezzo alla fine, mi metto a sedere sui gradoni di un portone
lasciando sfilare quasi la totalità dei concorrenti che mi
avevano ripreso da Riomaggiore e che avevo risuperato
nell’ultima discesa, i cui effetti avverto ora distintamente
nelle gambe; mi riposo a lungo, dieci minuti forse un quarto
d’ora, rinunciando persino al bicchiere della staffa: passi
il doping, ma farsi ritirare il pettorale e rischiare le
terapie di gruppo per il tasso alcolemico sarebbe a dir poco
disdicevole.
Finalmente ripartito, passo in mezzo ad un gruppo di
turisti piuttosto scocciati che sono stati bloccati
dall’organizzazione e vengono fatti passare a scaglioni, per
permettere di percorrere ai concorrenti questo tratto senza
rischi, vista la sua larghezza assai ridotta in diversi
punti. Percorsa l’ultima salita spaccagambe della gara, mi
imbatto in un’inaspettata colonia felina, una vera e propria
gattopoli con tutte le casette al riparo di un anfratto
naturale del costone di roccia: a parte la bontà del pesce
locale, se proprio desideraste mangiar carne, vi sconsiglio
vivamente il coniglio da queste parti. Mi godo beato gli
ultimi momenti di gloria con gli accalorati incitamenti dei
numerosi turisti, soprattutto le ragazze americane
scollacciate che incoraggiano con passione tutti i
concorrenti; calibro il passo per incontrarle nei tratti più
angusti del sentiero dove elle si accostano alla parete
rocciosa tentando di aderirvi il più possibile con la
schiena, il che le porta ad un espansione toracica di cui
posso godere a pieno non avendo a mia volta altra
possibilità che far passare lo zainetto verso l’esterno e
produrmi in un voluttuoso sdruscio pettorale: “Good Job”
gridano loro .... “Great Jugs” faccio eco io!
L’ultima discesa verso Monterosso scorre via ridanciana
all’insegna di battute ed apprezzamenti più o meno sessisti
all’interno del quartetto androgeno di cui mi sono trovato a
far parte e che rimarrà compatto fin sulla linea del
traguardo. Purtroppo, per la ricaduta influenzale del
piccolino, la famiglia è dovuta rincasare e non posso
festeggiare con loro .... ma non mi perdo d’animo e, con la
medaglia di finisher al collo, vado al pasta party preparato
da un servizio di catering dove mi viene offerta pasta al
pesto, pasta con le cozze, bruschetta con acciughe di
Monterosso sott’olio , cozze ripiene e tris di dolci. Ormai
saturo sono costretto a rifiutare la birra ..... anche
perchè, visto le portate, preferisco di gran lunga due
bicchieri dell’ottimo vino bianco locale appena stappato!
|