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GITA SOCIALE A CORTINA |
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24 giugno 2016 |
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Scritto da MICHELE ROSATI | |
Sono ormai trascorsi oltre sei mesi dal Lavaredo Ultra Trail dello scorso Giugno e finalmente ho trovato la voglia, definirla ispirazione sarebbe eccessivo, per un resoconto di questa avventura vissuta insieme ad un manipolo di senesi in trasferta nella Perla delle Dolomiti. Il pomeriggio di giovedí 23, proveniente dalla Germania, giungo a Cortina per il ritiro del pettorale. Per chi non é avvezzo a questo mondo, sappiate che per raggiungere il punto di consegna dove viene controllato anche il materiale obbligatorio, almeno nelle gare piú blasonate, ogni concorrente é obbligato ad attraversare una sorta di percorso fieristico dove i vari organizzatori di trail, in questo caso provenienti da tutta Europa, espongono la loro merce nel piú accattivante modo possibile: accade cosí sovente che, similmente al pargolo che esce dal supermercato con l’ovino Kinder messo a tradimento proprio davanti alle casse, l’ultratrailer le cui capacitá intellettive sono per definizione ancor piú limitate, si ritrova impelagato in nuove fatiche ancor prima di cominciare quella per la quale si trova lí.... personalmente, non avendo mai ceduto all’ovino Kinder, ho ampiamente riequilibrato il paniere consumistico proprio in questo modo! Il primo incontro, fluidamente allietato da un paio di birre, é con la ruspante coppia pisano-sannita Nicola Cinci e Concetta Greco, ormai senesi di adozione, che si trovano in loco giá da un paio di giorni, tiratissimi e concentrati per le gare, la lunga lui e lei la breve, purché consideriate tale 48Km con 2600m di dislivello positivo. Proseguiamo il simposio con una cenetta all’insegna del carboidrato (pasta e pizza) al ristorante La Tavernetta, dove ci raggiungono anche i senesi doc, attardati sembra da problemi meccanici al trattore del fattore dell’Osservanza, Gino Emili appunto e Francesca Monaci. Forse ancora innervosito da tali noie, Gino non manca di sottolineare al servizio una colpevole lentezza con la pungente ironia che lo contraddistingue, facendomi fortemente temere un’integrazione al processo alfa-amilasico di digestione tramite la ptialina del cameriere! Mentre Gino, eccelso stratega dell’autoconvinzione, afferma sicuro che si ritirerá al 75esimo Km al ristoro di Malga Ra Stua, giungono preoccupanti notizie da casa Magi dove Luciano, che ci dovrebbe raggiungere il giorno seguente, é bloccato a letto dal mal di schiena. Abbandono il ristorante con l’Emili che, mattatore della serata, lancia ciceroniane invettive contro le donne di casa, Francesca colpevole di iscriverlo agli ultra trail a sua insaputa ma usando la sua carta di credito e la gatta che, colta da crisi di affetto nel cuore della notte, riesce comunque a catturare la loro attenzione; mi ritiro cosí verso il mio alloggio a Dobbiaco, dove conto di riposare il piú possibile fino alla partenza programmata per le 23 del giorno seguente. In effetti poltrisco sul letto fino alle cinque del pomeriggio, salvo tre brevi interruzioni, una per la colazione, una per il pranzo un po’ piú proteico della cena con tartare di capriolo e tagliatelle al cervo ed una per i mirabolanti aggiornamenti dell’odissea Magi: partito in solitaria da Siena un po’ meno dolorante del giorno precedente arriva a Colle e viene colto nuovamente da lancinanti dolori, cui resiste con strenuo coraggio fino a Barberino dove decide saggiamente di tornarsene a casa, salvo poi ripensarci a Certosa dove imbocca nuovamente l’Autosole in direzione nord ritenendo, ancor piú saggiamente, di non poter mollare cosí facilmente, anche in considerazione della giovane etá. Arrivo a Cortina alle sette di sera e mi imbatto in Eleonora Iannuzzi, giunta in veste di spettatrice e trasportatrice delle mie spoglie verso i lidi natii al termine della gara, che racconta di aver visto Luciano piegato in due ad una stazione di servizio a poche decine di Km da Cortina. Appena entrato nel palaghiaccio, centro logistico della manifestazione ed anche sede del pasta party, mi imbatto in un Magi tutt’altro che sofferente, anzi bello pimpante che mi racconta del taumaturgico effetto del taping, i bifolchi italici direbbero bendaggio, applicatogli dai massaggiatori dell’organizzazione, non mancando di sottolineare, con quel suo tono di voce non bisognoso di impianto fonico per essere udito in tutto il palazzetto, di come fosse rimasto inizialmente interdetto all’invito del fisioterapista di tirarsi giú i pantaloni e piegarsi in avanti. Mentre fuori si scatena un forte temporale che adombra visibilmente le facce di molti colleghi, non resta che attendere la partenza distesi all’interno della struttura, con l’accompagnamento di RadioMagi che sempre piú in palla, non fosse altro per il varicocele orgogliosamente sbandierato, mi chiede di verificare attentamente che si sia ben unto i piedi con la vaselina, rimpiangendo ed al contempo celebrando le virtú della gentil consorte maestra oliatrice. Circa venti minuti prima delle undici, ormai rassegnato ad indossare la giacca in goretex, la pioggia cessa miracolosamente e mi avvio a mezze maniche verso la partenza, ovviamente posizionandomi con Luciano e Nicola dietro alle ultime file, una scelta sia nostra sia degli altri 1500 partecipanti che probabilmente erano schierati giá da tempo. Come in tutti i grandi ultra trail che si rispettino viene diffusa la colonna sonora della gara, in questo caso “Ecstasy of Gold” di Morricone dal “Buono, il Brutto e il Cattivo” ..... ora considerata la vaga somiglianza tra Magi e Lee Van Cleef, la statura e la capigliatura bionda del narratore, per quanto tutt’altro che stinco di santo, il Cinci é ahilui condannato ad impersonare il Brutto! Provate ad immaginare 1500 lucine che si muovono in piena notte dal corso di Cortina andando a rischiarare le tenebre contornate dalle Dolomiti con cotanto accompagnamento musicale e non faticherete a comprendere l’emozione che da sola vale il prezzo dell’iscrizione .... o quasi! Nonostante la miriade di lumi animati da un caotico moto browniano, ci ritroviamo tutti insieme, Luciano, Nicola, Gino, Francesca ed il sottoscritto, intruppati allo stretto imbocco di un sentiero un paio di Km dopo la partenza. Malgrado l’alta partecipazione straniera, la gestione della coda é tipicamente italiana con tutti che tentano di sopravanzare tutti; alla fine vengo risucchiato nel sentiero insieme a Nicola che prendo come riferimento per percorrere di buon passo i 5Km di salita, abbastanza agevole, che portano verso lo scollinamento del passo Posporcora, offrendo ampi panorami della conca di Cortina by night. All’imbocco della discesa il sentiero diventa un single track in cui rimaniamo nuovamente imbottigliati: poco dietro ho Nicola e sento pure Francesca lamentarsi che siamo fermi proprio quando ci sarebbe da cominciare a correre. Il single trek é oggettivamente un po’ sconnesso, ma molti concorrenti sembrano piú provenire da lunghe e difficoltose riabilitazioni motorie piuttosto che da altre gare trail. Dopo alcuni minuti trascorsi quasi immobile e per di piú superato da un paio di facce toste che, chiedendo permesso con nonchalance, si inventano una corsia di emergenza, scatta l’embolo: la frontale, tra l’altro neppure troppo luminescente, si trasforma in un radioso disco rosso ed al grido “banzai” il kamikaze Rosa-Ti parte a dritto nel bosco tagliando i tornanti del sentiero fiducioso nella sensibilitá dei suoi piedi e soprattutto nella resistenza dei tronchi cui si deve spesso aggrappare per evitare rovinose cadute. Bastano poche decine di metri di incoscienza pura per superare il tappo ed ho finalmente strada libera sul sentiero, che ormai allibidinito interpreto al meglio delle mie possibilitá. Raggiungo e supero Luciano, che evidentemente negli imbottigliamenti precedenti aveva usato la sua decana esperienza di italiano e proseguo fino al fondo valle dove intraprendo camminando di buon passo un lungo tratto pianeggiante lungo il torrente Boite, uno strappetto che conduce al primo ristoro, seguito da un falso piano e dalla salita, ripida soltanto nel primo tratto, che conduce lungo la Val Padeon prima e le piste del Cristallo poi fino ai 2000 metri della forcella Son Forcia. Scollettato sono nuovamente eccitato da un bel sentiero di alta montagna e scendo a corsa sostenuta fino al Passo tre Croci dove, attraversata la strada, continuo piú blandamente la leggera discesa dall’altro lato e comincio a sentire la fatica sulla spettacolare cengia che aggira sottocosta lo Zimes de Marcuoira, dove siamo costretti anche a pesticciare un po’ di neve. La facile discesa seguente mi conduce al ristoro di Federavecchia alle prime luci dell’alba, con circa tre quarti d’ora di vantaggio sul primo cancello orario. La successiva salita si snoda tra facili sentieri e tratti di strada fino ad un lungo saliscendi che attraversa Pianmaceto tra tratturi lordi di fango piuttosto difficoltosi per le profonde orme lasciatevi dalle mandrie, dove comunque riesco ancora a divertirmi e destreggiarmi con stile, ammirando al contempo il massiccio del Cristallo che si ammanta di rosa al levar del sole. Quando giungo sulle rive del lago di Misurina sono veramente esausto e mi stravacco su una panchina che sembra messa lí all’uopo. Dopo un po’ di attesa in versione pensionato mattiniero al parco vedo arrivare con passo deciso Nicola che, dopo un fugace saluto, continua imperterrito senza bastoncini. Ad un certo punto, non avendo nulla da leggere, decido di proseguire il cammino; fatte alcune centinaia di metri, stuzzicato da un certo sesto senso, mi volto ed ecco che a poche decine di metri vedo arrivare Gino e Francesca, quatti quatti per un ormai inveterato istinto di killeraggio acquisito in anni di corsa su strada .... mi metto insieme a loro assai volentieri, anche perché non ho la benché minima intenzione di lanciare una volata di 80 Km! Appena superato un breve strappo su strada asfaltata il terreno rispiana in prossimitá del lago de Antorno e la leprottina non resiste a partire con agile corsa seguita a ruota dall’aitante camoscio .... lo svogliato yak preferisce tenersi qualcosa per la lunga salita che ci attende. In effetti l’erta verso il rifugio Auronzo é impegnativa e con il mio lento ma inesorabile passo bovino raggiungo la leprotta ferma ad attingere acqua fresca da un torrente per dissetare l’amato camoscio che, superati i 42Km di gara, comincia a mostrare i primi segni di insofferenza. Raggiunto finalmente il rifugio, sono alcune decine le persone che mostrano evidenti segni di insofferenza: ci ritroviamo infatti tutti in coda, davanti a me scorgo anche Nicola, per avere accesso al ristoro. Un quarto d’ora abbondante gettato al vento, che tra l’altro spira abbastanza gelido, di non secondaria importanza per chi come me non ha altra alternativa che rasentare i cancelli orari. Fortunatamente il buon passo sostenuto fin qui mi consente comunque un comodo e rilassante rifocillamento, boccale di birra incluso, insieme a Francesca, Gino e David, un loquace e simpatico ragazzotto londinese con cui sfoggio il mio Toscanglish, farcito di sí tante consonanti aspirate da farmi temere per un’improvvisata rappresentazione in altura del Pygmalion di Shaw. Lasciamo insieme il rifugio con ancora un’ora di vantaggio sul tempo limite; Gino si deve trattenere ancora un po’ per non so quale motivo ed io mi avvio dicendomi certo che mi riprenderanno. Cammino tutto il tratto pianeggiante con cui passiamo in rassegna le Tre magnifiche Cime dal lato sud; raggiunta la forcella Lavaredo ancora non li vedo arrivare e cosí intraprendo la lunga discesa con oltre mille metri di dislivello da solo. Il lato nord delle Tre Cime, da me fino ad allora sconosciuto, é semplicemente magnifico: passare nuovamente in rassegna quelle imponenti piramidi di roccia in senso inverso mi dá la forza di correre, lentamente ma con continuitá, per tutto l’impervio sentiero che scende la Val di Rienza tra salti di roccia e fragorose cascate fino al lago di Landro. La monotonia dei cinque Km successivi lungo uno stradone sterrato che sale in maniera leggera parallelo alla statale tra Dobbiaco e Cortina li rende un vero calvario, acuito dal mal di piedi che comincia a farsi insistente: arrivato al ristoro di Cimabanche getto via le scarpe e mi accascio sfinito sul prato proprio mentre stanno arrivando Gino e Francesca. Avrei voglia di rimanervi a lungo ma, rimastami soltanto mezz’ora di limite sul cancello orario, mi faccio violenza e parto nuovamente da solo costeggiando ancora per un Km la statale in leggera discesa e poi imboccando sulla destra il lungo stradone carrabile, ma a tratti assai ripido, che conduce nuovamente ai 2000 metri della forcella Lerosa. La prima parte scorre abbastanza piacevole tra le numerose polle di squisita acqua surgiva che lo circondano, ma poi la monotonia, la stanchezza e l’ansia del tempo limite prendono ancora una volta il sopravvento ed anche la successiva facile discesa su ampi pascoli verso il ristoro di Malga Ra Stua riesco a malapena a camminarla. Convinco Gino e Francesca appena giunti a proseguire dicendo loro che il tratto successivo, percorso nel Cortina Trail dell’anno precedente, é uno dei piú belli mai visti .... date le condizioni in cui verso dovrei esser io quello da spronare ma, nonostante appaiano assai piú freschi del sottoscritto, sembrano annoiati e demotivati: l’autoconvincimento dell’Emili all’infruttuosa assurditá di qualsiasi distanza oltre la maratona é assai duro da contrastare. Steso ancora sul prato con gli occhi chiusi vengo bruscamente riattivato dal gonfiabile che una forte ventata mi fa cadere addosso; non vedendo Gino e Francesca penso che siano giá ripartiti (in realtá abbiamo ricostruito che lo hanno fatto dopo di me), decido cosí di muovermi anch’io, anche in considerazione del fatto che sto ancora giocando con la mezz’ora di vantaggio sul limite orario. Raggiunto il fondovalle, le cascate negli impressonanti orridi in cui precipitano il rio Fanes ed il rio Travenanzes vicino alla loro confluenza sono veri e propri spettacoli del creato che mi fermo ad ammirare da ogni ponte e belvedere, affacciato su quel vuoto pieno di naturale essenzialitá. Dopo un esibizione circense per attraversare il Travenanzes su un asse con appiglio di corda sospesa sopra le nostre teste, intraprendo la lunga risalita del vallone che si insinua nel massiccio delle Tofane attraverso una profonda gola dalle cui pareti precipitano sovente altissime cascatelle, la cui acqua si va a confondere con la leggera pioggerella a lungo annunciata da tonanti rombi, ahinoi minacciosi di ben piú intense procelle. Quando la stretta gola si allarga in un’ampia conca detritica dobbiamo guadare diverse volte il torrente e mi produco nei piú improbabili esercizi ginnici per evitare di mettere i piedi a mollo, fin quando all’ennesimo attraversamento sono costretto a togliermi scarpe e calzini e camminare con i miei malconci piedi sui ciottoli assassini, provando sofferenze solo parzialmente anestetizzate dalla gelida acqua. Percorro di buon passo l’ultima erta che conduce alla forcella del Col dei Bos arrivandovi abbastanza provato tanto da non esser in grado di correre lungo la discesa, affrontata sul far della sera con una pioggia che si fa sempre piú insistente fino a trasformarsi in vero e proprio temporale che, dopo uno strappo intermedio, rende assai difficoltoso l’ultimo tratto di discesa dagli avamposti delle fortificazioni del Lagazuoi fino al rifugio del Col Gallina, giusto sotto il passo Falzarego. Il ristoro ed il cronometraggio sono allestiti sotto un tendone sbattuto da pioggia e vento ma, come tanti altri, non ci penso due volte ad entrare dentro il caldo ed accogliente rifugio dove incontro freschi e rilassati Gino e Francesca, che conversano amabilmente con la mitica Natalina Masiero. Al festante Emili fanno da contraltare i musi un po’ piú lunghi delle ladies; apprendo cosí che si sono tutti ritirati allo scollettamento del Col dei Bos, sono stati trasportati al rifugio in jeep e, adesso in partenza per Cortina con l’autobus, mi dicono di aver saputo che il Magi, come tra l’altro aveva anch’egli premeditato, si é ritirato a Cimabanche. Rimango cosí a rimuginare sull’ecatombe senese solo al tavolo con un boccale di birra, fradicio e lordo di fango a massaggiarmi le doloranti estremitá bitorzolute ed orrendamente fasciate con cerotti e pezzuole da far senso ad un lebbroso .... sarebbe tutto nella norma se i miei vicini di tavolo, avventori del rifugio, non fossero una giovane coppia ritrovatasi il sabato sera per una cenetta romantica o almeno presunta tale prima del mio arrivo. Quando, scolata la birra, mi rendo conto di fissare con bramosia i loro piatti di tagliatelle fumanti che incastonano una promettente bottiglia di Teroldego, capisco che la mia presenza stia diventando imbarazzante e prendo commiato salutando amichevolmente con l’utopica speranza, ahimé rimasta tale, che l’apparentemente gioviale giovanotto me ne offra un goccetto e, perché no, anche una forchettata di assaggio. Uscito dal rifugio il temporale é fortunatamente cessato e, nonostante la lunga sosta, il buon passo tenuto precedentemente nella lunga salita della Val Travenanzes, mi consente di avere adesso un’ora di vantaggio sul tempo massimo quando, ormai al 95esimo Km, ne mancano poco piú di venti al traguardo. Mi ricordo bene dall’anno precedente come sia arcigna, seppur non troppo lunga, la salita verso il rifugio Averau, impegnativo l’accidentato fondo dei successivi saliscendi in quota e micidiale per la pendenza lo strappo della forcella Giau: affronto cosí le tetre tenebre assai blandamente con la serafica consapevolezza di aver ormai a portata di mano la felice conclusione di questa avventura. Dopo quattro ore abbondanti passate a passeggiare tranquillamente ho le batterie di nuovo cariche e cosí, quando nell’ultima discesa sono accodato a numerose persone alle prese con il ripido e accidentato sentiero che fanno acrobazie per starne sugli scivolosi margini ed evitare di cadere nel profondo canalone centrale scavato dall’acqua, ecco partire nuovamente l’ embolo: mi tuffo, é questo il termine giusto, nel rigagnolo centrale dove scorre copiosa l’acqua che scola dopo il temporale, e mi getto in una tanto folle quanto divertente corsa superando numerosi concorrenti che increduli mi vedono passare con la testa al livello delle loro gambe, sciaguattando nella melma come un ippopotamo epilettico. Arrivo di corsa fino alle porte di Cortina quando raggiungo David, il loquace britannico, in compagnia di una ragazza belga e decidiamo tacitamente di arrivare insieme, godendoci questi ultimi venti minuti a raccontarci esperienze ed impressioni delle ultime trenta ore passate a girovagare tra le Dolomiti. Avrei certamente cercato di riprendere il lumino cinquanta metri davanti a noi e che poi si é nuovamente allontananto negli ultimi due chilometri se vi avessi riconosciuto Andrea Lisi, altro componente quasi in incognito della gita sociale senese, mai avvistato prima della partenza e che onestamente ritenevo ormai arrivato da diverse ore .... la cotta per il podista é d’altronde come la livella di Totó: non fa troppe distinzioni per doti fisiche ed allenamento. L’arrivo in un Corso Italia deserto alle quattro di domenica mattina abbracciato a David, che spero per colpa della stanchezza sembra preferirmi alla sua amica belga, ha comunque il suo fascino. Dopo una doccia rilassante ed un pasta party-colazione, sul far del giorno mi trovo con Eleonora che mi fará da autista per il ritorno e che mi racconta come anche Nicola sia giunto al traguardo un paio d’ore prima del sottoscritto, festeggiato da Concetta, la leonessa del Sannio, capace di spianare il percorso da me descritto dalla Val Travenanzes in poi. Luciano, considerando il Cortina Trail dell’anno precedente, sará sicuramente contento di aver completato il giro lungo, benché a tappe; Gino ha fatto la sua gara perché, come giá ribadito piú volte, qualsiasi cosa venga oltre una certa distanza non puó esser considerato tale ... rimarrebbe un po’ di delusione per Francesca, non fosse che la carta di credito dell’Emili ha giá un ammanco in attesa della LUT 2017! |