Nuovi brividi 

 

 

  LA MARATONA DI FIRENZE DEL 2016 

 

 

  Scritto da   CARLA BOLDI 

 

 

 

   16 OTTOBRE 2016  

 

6 settimane, oggi mancano 6 , solo 6 settimane che voleranno via. 6 settimane alla mia 25a.

Mi sento confusa, impaurita , intimidita da questa prova che voglio affrontare. Sensazioni contrastanti di paura e timore, paura che il fisico ceda, timore che la testa ceda. Quando mi alleno, quando la fatica si fa sentire, mi viene voglia di fermarmi, come ho fatto troppe volte in questi ultimi 10 anni; voglia di seguire quella vocetta fetente che mi dice: smetti, sei un troiaio, non ce la fai.

Ma ora, da quando mi sono imbarcata in questa impresa tutta mia, quella di voler correre la mia 25a maratona in occasione di 25 anni di attività podistica, litigo con la vocetta e cerco di schiacciarle la testa. Ma… non è facile.

Ho iniziato a pensare a questa maratona esattamente un anno fa in occasione dell’Eco-Chianti, ma fino a un mese fa era un pensiero. Ora è fatica. Fatica nel riprendere allenamenti dimenticati, fatica nel fare chilometri, fatica nel trovare il tempo per allenarsi. In 10 anni sono cambiate troppe cose per cancellarle con un colpo di spugna.

Eppure fino a 10 anni fa era facile, macinavo chilometri con facilità , le maratone erano alla portata, impegnative sì, ma non impossibili.

Poi lo stop, la noia,  il fisico e la testa che non ne vogliono sapere. Giusto un pochino, quello per una dose minima di endorfine che dopo tanto tempo hanno assuefatto il corpo e come ogni droga che si rispetti fanno sentire la loro mancanza. E tanta amarezza e voglia di dimenticare quello che facevi e che non sai più fare, quello che facevi nella precedente vita, quella di un’altra Carla.

La mia anima sa come si corrono le maratone, sa della libidine della preparazione, della stanchezza che ti appaga,  dei sogni ad occhi aperti mentre fai gli interminabili lunghi, ti vedi vincitrice acclamata , tu che arriverai esima; la mia anima sa dell’emozione di aprire la busta col pettorale, della gioia della partenza e della noia di certi chilometri, sa dell’inganno del “fino al prossimo ristoro”.  La mia testa non ritrova quella determinazione, anzi ha paura di dire a se stessa : ok, ce la posso fare ancora, le mie gambe… cedono… però a pensarci bene cedevano anche prima, quando preparavo la prima maratona, 23 anni fa.

Domenica scorsa sono andata a Carpi, per regalarmi un lungo in compagnia, ho rivissuto quelle emozioni. Mi guardavo intorno, tante cose cambiate. Gli oli riscaldanti puzzano meno, maglie tecniche e non di cotone, cartuccere con bottigliette di acqua e sali… nemmeno fosse una spedizione su Marte.

Fila al bagno, questa non  è cambiata, parlo con 2 donne che sono alla prima esperienza, intimorite da quei 42 km. Dico loro quello che so dire quando penso alla Maratona: “vedrai, sarà bellissimo!”

30 km fatti ma finiti con i crampi, questi mi spaventano e non ho tanto tempo per vincerli, in questo momento sono il problema più grosso. Mi rendo conto che sono poco tonica e allora via, al mattino appena alzata ho iniziato a fare 150 addominale, Folgo Folgo mi mancano le tue sessioni di potenziamento muscolare durissime e i tuoi 300 addominali a botta.

Il pensiero di questa gara diventa sempre più presente nella mia giornata.

Ce la devo fare.


 

   23 OTTOBRE 2016  

 Ho corso molto questa settimana, sono entrata nel periodo di massimo carico della preparazione. Quando posso preferisco allenarmi su strade  di campagna piuttosto che al camposcuola, mi sento più libera.

 Mi sto allenando  nelle strade dove da sempre i maratoneti senesi  fanno i lunghi, sterrate con un buon fondo  contornate da campi  coltivati,  pochissimo traffico, silenzio rotto solo dal calpestio sul breccino.

 Mi sono resa conto di quanto non fossi più abituata alla distanza dalla difficoltà che ho trovato inizialmente anche solo a correre in modo costante  i 13 chilometri del primo tratto.

 Ho iniziato in primavera e col susseguirsi delle settimane ho visto il grano che cresceva, maturava e veniva raccolto. Poi sono arrivati i girasoli, sbocciati con la loro faccia gialla, maturati e raccolti, poi il granturco,  alto con i baffi, bagnato incessantemente dagli idranti, enormi docce in mezzo ai campi,  maturato e raccolto. Poi con l’autunno  è arrivato l’aratro e tutto è diventato marrone. Righe infinite di zolle, come giganteschi giardini zen disegnati da lenti  trattori nel loro ipnotico cigolante incedere.

 E io a correre.

 Le stagioni si sono avvicendate ed i  raccolti pure, la mia distanza di base si è allungata e velocizzata. Oggi , mentre tiravo gli ultimi 2 chilometri respiravo il  respiro della terra, come lo chiamo io, quell’odore dolciastro, caldo, morbido delle zolle appena rivoltate, ancora umide  e ancora una volta mi stupisco di come si possano  apprezzare certe cose mentre cerchi dentro di te l’energia per finire. Ho fatto un buon allenamento  che mi rende fiduciosa. Sì ce la posso fare, ma domenica mi aspettano 32 km e sono una brutta bestia.

 I 32 chilometri che poi si sono ridotti a 31 li ho superati, con fatica e lottando contro la vocetta che diceva di mollare. Comunque fatti.

 Avanti.

 

   30 OTTOBRE 2016  

 

Sto continuando ad allenarmi, imperterrita, cercando di risolvere i problemi che via via si affacciano. I  150 addominali del mattino, che nel frattempo sono diventati 200, stanno facendo sentire il loro effetto nella tenuta della postura e per contrastare i crampi dei  quadricipiti, che si sono presentati durante la parte finale dei lunghi,   ho richiamato le  ripetute in salita lasciate da un paio di mesi, sperando così di rafforzare un po’ la muscolatura.

Mercoledì  pomeriggio,  nonostante una temperatura di oltre 20° una foschia fitta si alzava dai campi e l’umidità mi avvolgeva soffocante, la sentivo sul corpo, sulla faccia, intorno al naso. Mi sembrava di essere  un pollo arrosto ricoperto dalla pellicola trasparente che si usa per conservare i cibi in frigo.

Faticavo  a respirare e rivoli di sudore mi scendevano lungo le braccia, le mani, le dita.

Con  ancora nelle gambe i 30 km di domenica e i 13 km a ritmo medio di martedì ho fatto 4 mille in salita, durissimi a livello muscolare, ma non ho mollato. 

Una riflessione: solo un mese fa questa sequenza di allenamenti non sarei riuscita a farla e correre con una giornata così afosa mi sarebbe stato mentalmente impossibile. Ma ora voglio, non devo, voglio,  arrivare in fondo e constatare di reggere questi allenamenti mi dà una carica fortissima.

 

Ho bisogno anche di un nuovo paio di scarpe da gara e vado nel negozio di fiducia. La scelta è ampia non solo per le scarpe ma anche per le  maglie,   i pantaloncini  e i vari accessori. Sono tentata di comprare tutto. Questo meccanismo lo devo capire, più si diventa lenti e più aggeggi tecnologici si acquistano, forse  nella speranza (illusione…sogno…fantascienza?) che questi ci facciano ritrovare i ritmi perduti. Gambaletti a compressione, maglie super tecniche, asciutto dentro asciutto fuori, (ma non era la pubblicità di un pannolino per bambini?), satellitari che calcolano anche quanto tempo stai seduto e fanno suonare un allarme perché tu ti muova.  Sono passata da “in inverno metti la maglia di lana sotto la canottiera sociale, perché il cotone rende freddo” a “capo estremamente tecnico che  garantisce la giusta temperatura corporea sempre  con ogni condizione atmosferica” maglietta che stringe come una seconda pelle e evidenzia impietosamente ogni rotolino di ciccia che non dovrebbe esserci. Da perderci la testa!

 Alla fine ho acquistato solo le scarpe, ma da qui al 27 Novembre non è detto che non ritorni sui miei passi e devo ancora valutare bene l’abbigliamento. Nulla al caso!

Avanti.

 

   L' ULTIMO LUNGHISSIMO  

 

E’ difficile, è veramente difficile far andare la testa e il corpo insieme. E’ difficile dimenticare, cancellare, annientare ciò che ti sembrava scontato con quello che puoi fare oggi. Sono le riflessioni a freddo dopo la mezza dell' altro giorno. Pensavo con superiorità “ ho fatto  due volte i 30 km,  faccio 16/18 chilometri con facilità, cosa vuoi che sia fare una mezza?” Peccato che ho scelto una mezza collinare, molto molto impegnativa muscolarmente, le  mie gambe hanno ceduto, i crampi sono tornati fuori e io mi sento a terra.

Rabbia, tanta rabbia. E di nuovo si affaccia quella vocetta antipatica a dire “non ce la fai!”

La mente gira vorticosamente alla ricerca di cosa posso fare, valuta il tempo rimasto a disposizione, ripassa  tutto ciò che sa sugli effetti dei vari allenamenti, cerca soluzioni, da colpe. Ma intanto il tempo passa. Questa è anche la settimana del lungo lunghissimo 34/36 km, l’unico allenamento che mi ha sempre impensierito.

La rabbia mi spinge a fare lunedì e martedì due allenamenti tosti, un progressivo e le ripetute sui 3000. Sono venuti bene. Il fisico risponde quando vuole, o meglio, quando la mente vuole! Rabbia…

Guardo la mia tabella di riferimento, i lavori che ho fatto e quelli ancora da fare. Sono  maniaca delle tabelle, mi sono sempre piaciute, non so concepire l’allenamento senza una tabella e non importa che sia fatta da un esperto o che sia scopiazzata da qualche rivista specializzata.

Quando ho iniziato a programmare questa maratona ho pensato subito al piano di allenamento. Vedere scritto cosa fare per le canoniche 12 settimane mi fa aumentare la voglia di fare e di costruire giorno dopo giorno il  fisico per arrivare ai fatidici 42 km. Questo aspetto della preparazione mi ha sempre affascinato tantissimo, tant’è che già ai tempi della mia seconda maratona insistevo con il mio compagno di allenamenti di allora , Neri Giuliano, assertore convinto che per fare la maratona bastava abituarsi a stare sulle gambe 3 o 4  ore senza considerare il ritmo, affinché osservassimo il programma di una tabella trovata su una rivista a tema.

Una delle cose che mi è mancata tanto in questi anni lontano dalla maratona è stata la programmazione dell’allenamento. Sì, mi sono allenata, ho avuto tabelle di riferimento, ma essendo rivolte a gare di 10 km non le ho mai sentite a fondo, non le ho mai prese sul serio come sto prendendo questa. Qui ho ritrovato il gusto della fatica. E a proposito di fatica, venerdì avevo in programma il lunghissimo di 36 km. Parto, sono preoccupata, arrivo a 20 km con un ritmo più lento di quello che penso di tenere in maratona, dopo un po’ sento indurire i quadricipiti e a 26 km la vocetta urla: “basta! Smetti! Troppa fatica!” E mi fermo. Inutile dire quanta rabbia e delusione ho provato. Sull’onda di queste emozioni sabato mattina ci riprovo col patto che se le gambe avessero reagito male avrei fatto solo 10 km, invece le gambe hanno girato bene, anzi benissimo fino al 30 km dove poi mi sono fermata.

Ok, ce la posso fare.

 

   DEH  BIMBA!  

 

La mezza di Livorno

Ora si tirano veramente le fila degli allenamenti fatti in queste settimane.

Domenica 13 novembre,  mezza a Livorno, la 21 di rifinitura per la Maratona di Firenze.

Sono passati circa 15 anni dall’ultima volta che vi avevo partecipato e ricordavo  una  gara noiosa e ripetitiva con tanti anda e rianda sul lungomare.

Invece è tutto diverso. Siamo partiti in tanti, oltre un migliaio e dopo un chilometro circa siamo entrati nel parco dell’Accademia Navale e l’abbiamo attraversato. Svoltati tra i palazzi un albero maestro,  con  corde, cime, sartie e  rete di protezione si stagliava contro l’azzurro del mare e del cielo. Bellissimo colpo d’occhio accolto da un corale “ ohh! bello!” di chi come me non c’era mai stato.

Il percorso ci ha portato  dentro la Livorno vecchia, nelle sue le piazze,  lungo le mura e sul novecentesco lungomare. Un tracciato scorrevole e quasi totalmente chiuso al traffico.

Stavo bene, fin da subito le gambe giravano facilmente, tanto che ero continuamente a dirmi “ piano, vai piano”. Il  trascorrere dei  chilometri, il sentirmi sempre  reattiva e poco affaticata mi ha dato lo spunto per finire in progressione. Quasi non credevo al cronometro.  Ho chiuso  abbondantemente sotto le 2 ore e sono pure rientrata nei premi di categoria! Da quanto non mi capitava!

Mentre corro mi piace  ascoltare gli altri che parlano, c’era quello che raccontava di quanto è bello uscire a correre all’alba e  in questo periodo, partire col buio pesto e rientrare con la luce, proprio come faccio io.  Ci sono quelli che parlano di ritmi, il tipo che raccontava dell’allenamento fatto con l’amico troppo veloce, l’altro che si lamenta dei doloretti, quello che ha il rimedio miracoloso, quello che due uscite a settimana sono giuste e quello che ha fretta perché “la mi’ moglie mi aspetta!” Ho fatto un po’ di chilometri con una podista fiorentina , anche lei in preparazione per Firenze, che è uscita con un “ma tu i’ ciuccino quando lo pigli?” I’ ciuccino? Ah il gel, quello che serve per non far abbassare la glicemia e sentire meno la stanchezza!

Podisti, gente fantastica!

Non è mancato un “deh bimba! Abbiamo fatto tutta la strada insieme (!?!) finiamo in coppia , sai io so’ 40 anni  che corro , a dire il vero me ne mancano 2 (!!!) ho fatto le cento, le maratone …so’ più adatto alle lunghe distanze che alle corte” Chiacchierava troppo, ho allungato e via.

Podisti gente fantastica!  .

Ok tutto il lavoro fatto sta dando i suoi frutti…

Avanti.

 

   ULTIMA SETTIMANA !  

 

Ho ricevuto una e-mail col numero del pettorale, F989  questo sarà il mio compagno di viaggio. Sale l’aspettativa, non vedo l’ora e nel contempo sono sgomenta. 

La paura fa di nuovo capolino ed è penetrante invasiva indisponente. Si infiltra nella mente come la nebbia nei vicoli,  entra nelle ossa,  prende  tutti i  pensieri,  avvolge con i suoi  tentacoli emaciati, non  lascia in pace un minuto. Ha varie facce quest’ angoscia, quella  presente dall’inizio di questa avventura  la paura di non farcela e   la testa che cede e quella nuova di incappare in qualche malanno o infortunio. Al lavoro, essendo a contatto con un pubblico variegato che spesso starnutisce o tossisce sono sempre in allerta pronta ad essere attaccata da sogghignanti eserciti di microbi e se non fosse che scatenerei commenti non proprio gentili, metterei la mascherina come i giapponesi quando hanno il raffreddore.

E alla fine, invece dell’influenza arriva una dispettosa tendinite.  Provo a correre, fa male, vado immediatamente  in religioso, speranzoso  pellegrinaggio dal fisioterapista che dopo un trattamento piuttosto doloroso mi consiglia alcuni giorni di stop podistico.

No, accidenti e ora?  Nemmeno fossi un’atleta olimpionica che vede sfumare la possibilità del titolo, mi precipito ansiosamente su internet a cercare articoli che parlino di quanto si perde a stare fermi; sembra che fino a 7 giorni il deallenamento non sia significativo, ok , allora tutto non è perduto.

Questa sarà la settimana più lunga, dovrò testare se il tendine si è sfiammato e  diminuire in modo significativo il chilometraggio di allenamento e questo farà aumentare a dismisura la necessità non soddisfatta di correre. Sensazione che Orlando Pizzolato, rendendo perfettamente l’idea, definisce “sindrome del cavallo da corsa”.

Ormai ci siamo. Incrocio scaramanticamente le dita e …avanti.

 

   MARATONA !  

 

Ultimi giorni irrequieti vissuti nello  scandagliare corpo e anima. L’ansia sale vertiginosamente, il desiderio sale vertiginosamente, non vedo l’ora. Sabato all’expo per il ritiro del pettorale,  grande confusione, tanti stand che promuovevano  gare e calze contenitive!

La tensione sale. Preparata la maglia col pettorale, preparato tutto l’abbigliamento del prima e dopo. Acquisto all’ultimo di un reggiseno con foto propiziatoria  di Leonardo che mi mette insieme a tutti gli altri che sono passati dal suo negozio in  questi giorni premaratona.

 Mangio con attenzione, troppo? Troppo poco? Caffettiera pronta, ok ok  lo so che il caffè sarebbe meglio non prenderlo, ma con la sveglia alle 4.50! Guardo il tappetino da ginnastica, sei settimane di addominali alle 5,30 del mattino con esercizi isometrici… finiti. Penso ai miei allenamenti … finiti. Penso al cane che per quattro mesi mi ha abbaiato ogni volta che sono passata davanti al suo cancello, penso ai cavalli tristi e agli eleganti aironi, compagni silenziosi dei miei chilometri…finiti e finiti anche i giorni di attesa. Domani si va. Ho un groppo alla gola…

 

Verso Firenze  la strada non passa mai, queste ore non passano mai,

Con qualche difficoltà lascio la sacca e mi infilo nel mio corral fuxia. Sono subito avvolta dagli altri concorrenti, ascolto mozziconi di frasi, molti sono alla prima esperienza. Ripenso ad altre partenze. La prima volta a Venezia nel 1993, era una maratona ancora piccola, fecero partire le donne con 15 minuti di anticipo perché le prime arrivassero insieme ai primi uomini. Penso a Torino con la partenza accompagnata dalla banda dei bersaglieri, era anche il  mio compleanno festeggiato con una maratona. Penso a New York nel 99, sul ponte di Verrazzano con gli americani che cantavano il loro inno nazionale con la mano sul cuore e ora qui, ai piedi del duomo di Firenze.

Ma che ci faccio ?

Novellina e esperta insieme. So cosa è una maratona ma è come se non l’avessi mai corsa.

 

Si parte, due lacrimoni mi scendono sulle guance, sono emozionata, rivivo sensazioni forti e mai del tutto sopite, sto correndo una maratona, sto intraprendendo un bellissimo viaggio dentro di me in compagnia di tanti.

 I primi chilometri scorrono via veloci, ho un buon ritmo, prudente. Maglie colorate, cerco di capire da dove vengono gli altri, Italia, estero. Molti hanno cartucciere con borracce, tasche gonfie, marsupi. Questa è una novità, non ricordo di aver visto tanta gente nelle maratone passate armata come per una traversata del deserto in autosufficenza! I primi 10 km volano via in un soffio. Mi godo quella zuppa di gente intorno a me, mi godo i lungarni e le Cascine. Trovo Tania  allo spugnaggio che mi incita.

20o  km, il ritmo è ancora buono, siamo sempre dentro il centro, corriamo ammassati e non è facile tenere il passo costante. Non ci sono voci negative nella mia testa, ma solo il gusto del momento. 30o km, la fatica comincia a fare capolino, le gambe stanno diventano dure, mi aggrego ad un gruppetto.  Sul lungarno si sentono tamburi da guerra, un gruppo di donne suona questi tamburi dando ritmo e grinta, bellissimo!

35o km, ho rallentato, la fatica ora è veramente tanta, mi fanno male le gambe, mi sembra di avere i muscoli trafitti da aghi, mi fermo, cammino e riparto. Ma nemmeno per un attimo la vocetta antipatica si fa sentire. Si arriva in fondo.

Nei pressi di Ponte Vecchio vengo raggiunta e sorpassata dalle carrozzelle, che fanno scansare tutti e quasi ti investono come se tu, nel poco spazio tra le transenne, potessi smaterializzarti e già che la lucidità è quella che è. Sento Giuliano Neri che mi chiama e incita, è venuto a vedermi , che gioia, se non fosse stato per lui mai avrei fatto maratone.

 Non mi ricordavo tanta fatica e tanto dolore fisico, muscoli duri, mal di piedi. Camminare è peggio che correre per cui corro, sono in quello stato di semi incoscienza con un unico martellante imperativo “avanti, vai avanti”, a questo punto non ti importa più il tempo, ma solo il finale.

Al 39o Tania mi viene incontro e mi incoraggia, è stata un toccasana, lì stavo veramente pensando di mettermi a camminare invece grazie a lei ho trovato la forza per finire di corsa. Arrivo a braccia alzate  insieme ad uno che urla con me di gioia. Strane condivisioni in maratona!

Medaglia, telo termico, sacchetto alimenti. Esco e piango, un pianto di liberazione e di gioia come non mi capitava da anni. Dopo 11 anni ho riprovato emozioni che non volevo ricordare tanto mi mancavano.

Dopo 11 anni sono tornata maratoneta, quella medaglia per me è d’oro, quando me l’hanno messa al collo mi sono sentita vincitrice, non importa quanti ne avevo davanti e quanti dietro. Ho vinto contro il tempo, contro la stanchezza, contro le difficoltà. La mia testa ha vinto, le mie gambe hanno vinto, il mio cuore ha vinto.

 

La maratona è come la vita, un viaggio dove  attraversi  momenti di euforia quando corri facile e le gambe girano bene, momenti di difficoltà quando i muscoli ti bruciano e ti obblighi ad andare avanti, perchè devi…te lo devi

 

La maratona è come incontrare l’amore vero, e solo chi l’ha conosciuto può capire, quello che può farti toccare il cielo o scendere nel più nero abisso, ma che è unico e irripetibile.

 

Grazie al cielo sono maratoneta!

 

  La_venticinquesima_maratona_ _di_Carla_Boldi