ABBOTS WAY 2017

 

Pontremoli

Km 125    D+ m 5600

30 aprile 2017

 

 

MICHELE  ROSATI

 

 

 

IL LENTO CAMMINO DI FRA MICHELE

 

Non é neppure passata una settimana dall’ultimo cameo letterario, sit venia arrogantiae meae, che sono nuovamente a cimentarmi nella mistica narrazione di un ultra trail. Uscito con il tibiale destro malamente infiammato dal Tuscany, ma ormai iscritto all’Abbots Way cui non avevo mai preso parte data la continua concomitanza con la gara in Valdorcia, ho deciso comunque di andar a dare un’occhiata e respirare l’atmosfera della decana delle ultra 100Km italiane, giunta alla sua decima edizione.

Eccomi dunque sabato 29 Aprile a Bobbio, sede di arrivo, prendere la navetta che dopo due ore e mezzo di viaggio via autostrada, giá di per sé un bell’incoraggiamento, mi deposita insieme a molti altri volti ormai noti  a Pontremoli, sede di partenza. Ritiro il pacco gara con una bella felpa insieme ad un anonimo pettorale: contrasti di una gara che, divenuta famosa nel tempo, ha conservato l’iniziale spirito amatoriale. A seguire il briefing nell’incantevole teatro della Rosa, gremito in platea ed ogni ordine di palchi dagli oltre trecento partecipanti molti dei quali, visto come si rivolge loro l’organizzatore, sembrano essere frequentatori abituali. Non prendo parte al pasta party che si tiene anch’esso in una sontuosa location, l’imponente castello del Piagnaro, perché con Caterina Corti e suo marito Francesco, ignobilmente sfruttato come autista, preferiamo prendere possesso delle camere in un agriturismo a qualche Km di distanza. Sperduto nei bucolici clivi della Lunigiana, il casolare offre altresí accoglienti camere, nonostante la mancanza del televisore lamentata da Caterina, impossibilitata cosí a guardare la puntata in prima serata di Amici .... d’altronde anche gli atleti piú prestanti hanno le loro debolezze!

Il pezzo forte é peró rappresentato dai proprietari, una giovane coppia decisamente fuori dai grigi schemi della monotonia borghese, che sembra uscita dalla penna di Jack Kerouac. Li informiamo che dovremo lasciare presto le camere all’indomani e, con squisita gentilezza, si offrono di darci colazione in ogni caso alle 5 del mattino. Eccomi cosí a corroborare i testaroli al pesto e la pizza della sera precedente con le creazioni della Matilde Vicenzi fricchettona: squisita torta al ginger e menta, piú impegnative cioccolato e Guinness e soprattutto lavanda (sembrava di ingoiare un arbre magique); non disdegno neppure il classico con cornetto caldo, marmellate albicocca e mirtilli, yougurt e miele .... infine, coup de theatre, ci viene offerto di assaggiare della pappa reale appena tolta dall’arnia, ancora dentro il telaino in legno: provate ad indovinare chi, unico dei tre, ha accettato di buon grado l’esperimento.

Alle 7 in punto parto nelle retrovie del gruppo da Piazza della Repubblica a Pontremoli, camminando imbottigliato in uno stretto vicolo ed attraversando il bel ponte in pietra sul Magra; mentre i primi sono giá chissá dove, tutti intorno a me si augurano vicendevolmente buon viaggio ed un bel cammino salvo poi, quando entriamo in un infinito rettilineo asfaltato, muovere i primi passi a corsa. Da quasi quattro giorni avevo il terrore perfino di simulare tale movimento ed in effetti il responso, con un immediato ed intenso bruciore alla tibia, é tragico. Mentre tento invano di assuefarmi al dolore provo a convincere me stesso di piantarla sin da subito, perché non potrá che andare peggio, con il probabile risultato di essere comunque costretto al ritiro e dover poi sostenere tempi di recupero ancora piú lunghi. Fatto sta che arriviamo alla prima salita e, obbligati a camminare, il dolore si attenua quasi del tutto. Quando troviamo ancora dei pezzi da corricchiare tra i castagneti ho ormai alle spalle una decina di Km e ne mancano una ventina al primo check-point (punto di arrivo di coloro che percorrono la gara in 4 staffette): decido quindi di  arrivare almeno fin lá, tanto per vedere cosa offre il paesaggio. Dialogando amabilmente con una veterana degli ultra trail, la grande Marina Mocellin, il tempo corre via veloce di guado in guado salvo alcune difficoltá nell’attraversamento del Torrente Verde; per non bagnarsi i piedi c’é da fare un piccolo salto: io non so come reagirá la gamba e lei teme che le sue sian troppo corte .... ad ogni modo, impavido paladino di questa ballata di trailer un po’ sciancati, allungo la falcata e fortunatamente arrivo sul masso dell’altra sponda senza capificcare nell’acqua offrendo poi cavallerescamente aiuto alla dama.

Ad un certo punto, quasi inaspettatamente, lasciamo il bosco ed entriamo in un Km di aspro crinale piuttosto tecnico, che offre meravigliose vedute della Lunigiana a destra e della Val Taro a sinistra, fino al passo del Borgallo, dove comincia ahimé una lunga, interminabile e dolorosa discesa. I primi 4 Km, tra pini faggi e castagni, riesco a tollerarli riuscendo in qualche modo a camminare veloce, ma alla fine, su un lungo tratto di asfalto prima e monotoni campi poi, le fitte diventano praticamente un patimento continuo e devo rappresentare uno spettacolo davvero straziante se non un solo trailer dei tanti che mi raggiungono manca di chiedere notizie sulla mia salute ... a tutti rispondo pazientemente spiegando come giá sia partito infortunato, paradossalmente quasi vantandomene ed ancor piú assurdamente riscuotendo l’ammirazione di alcuni: ho cosí l’ennesima conferma come i problemi piú seri, della categoria in genere, siano mentali piuttosto che fisici!

Al ristoro di Borgo Val di Taro la gamba sopra l’elastico del calzino é orrendamente gonfia, sotto é bollita e fa male solo a sfiorare la pelle con le dita: mi rendo conto che il danno é ormai fatto e che tanto vale provare a continuare ad arrivare fino a Bardi, metá gara, dove troveró una borsa con il cambio. Dopo qualche pezzo di focaccia ed una birretta tonificante, attraverso il Taro sulla passerella pedonale e mi incammino lungo il fiume nel senso della corrente. All’imbocco di una ripida erta su strada in cemento, il senso di rabbioso auto-biasimo che mi pervade si trasforma in inaspettata verve agonistica: sfodero le racchette dalla tasca dello zaino ed allungatele come la spada laser di Obi Wan Kenobi, approfittando del fatto che in salita non ho dolore, comincio a spingere come un indemoniato: al ritmo della marcia imperiale di Star Wars, con ancora indosso la termica nera del mattino, ho l’incedere minaccioso di Dart Fener nel riprendere e lasciare sul posto tutti coloro che mi avevano via via superato dal passo del Borgallo in poi. Questo exploit mi dá morale e senza troppo dolore cammino di buon passo tutto il dolce mangia e bevi che conduce al ristoro del Pradetto, dove una birra tenuta al fresco del ruscello, salame, focaccia ed una squisita torta di mele fatta in casa mi ridonano  finalmente il buon umore dei tempi migliori.

Riesco cosí a patire di buon grado la discesa fino al ristoro di Osacca, per poi caricarmi nuovamente nel successivo strappo in salita. Da qui in poi c’é un continuo saliscendi, con tratti brevi ma ripidi sia in salita che in discesa, attraversando ameni borghi in pietra, antichi lavatoi, sperdute chiese ed antichi mulini che costellano queste belle vallate dell’Appennino Emiliano. Visto il mio passo rallentato quando la strada scende, sono costretto a spingere in salita e cosí mi trovo a fare per un paio d’ore l’elastico con un gruppetto di amici che, con passo da veri pellegrini, corrichiano in discesa dove mi riprendono e rifiatano allegramente ad ogni scollinamento: vedendomi sempre passare mulinando le racchette a capo basso, credono di essersi imbattuti in uno di quegli imperterriti agonisti che rimangono tali anche navigando nelle piú ignominiose retrovie .... i soldati giapponesi del Pacifico, come a me piace chiamarli. Appaiono cosí sorpresi trovandomi seduto al ristoro a fianco della bella chiesa di Monastero mentre inzuppo pezzi di focaccia in un abbondante bicchiere di vino rosso: chiarita la mia infelice situazione, segue un bel momento di convivialitá.

Dopo un paio di Km tendenzialmente in salita, comincia la temuta discesa fino al fondo valle dove il Noveglia confluisce nel Ceno. Il crescente dolore é compensato dalla magnifica vista di Bardi con l’imponente castello che si erge duecento metri sopra il fiume dall’altro lato, arroccato su uno scoglio di diaspro che la luce serotina ammanta di corrusca magia. Superati i due fiumi lungo i ponti della strada asfaltata, l’erta che conduce sotto i contrafforti del maniero, incuneandosi con il suo millenario acciottolato nel vecchio borgo, mi spoglia di racchette estensibili e maglia termica rivestendomi di bordone e saio: ho finalmente compenetrato l’essenza del percorso e dato un senso alla mia presenza sulla via degli abati.

Al ristoro del 65° Km recupero la borsa con il cambio e mi tolgo le scarpe per dar sollievo ai piedi, con il terrore che il gonfiore sopra il calzino possa scendere al piede impedendomi poi di calzarle nuovamente: ormai l’idea di rititrarmi neppure mi sfiora. Sorbito un buon minestrone con riso, indossata maglia calda, giacca e frontale, lascio Bardi alle 8 di sera e mi incammino sulle prime rampe che condurranno sulla cima del monte Lama, il punto piú alto della gara con i suoi quasi 1400m. Come al solito la salita é mia fida alleata e la percorro a passo sostenuto riprendendo molti concorrenti; mi ostino a tenere la frontale spenta cercando di abituare la vista alle tenebre sempre piú scure fin quando, aggirando una pozza nel centro del sentiero, mi conficco il moncone di un ramo nel fianco destro: ho fiato giusto per esclamare un secco epiteto decisamente non confacente al vocabolario di un abate! Con il bruciore al costato che anestetizza quello alla gamba, raggiungo comunque di buon passo la tenda con un punto acqua dove, visto il freddo pungente che mi sta intorpidendo le mani, mi fermo giusto il tempo per un té caldo e continuo sui pratoni pelati fino ad arrivare, dopo un ultimo ripido strappo, alla sommitá del monte; qui un rigurgito di modernitá con l’abbagliante sbrilluccichio delle cittadine verso la bassa valle dell’Arda e la pianura, Salsomaggiore, Fidenza, Fiorenzuola e dintorni immagino.

Nonostante il primo tratto di discesa sia a dir poco assassino ed anche i successivi Km di sentieri all’interno del bosco non siano troppo agevoli, la buona predisposizione d’animo mi consente di raggiungere il ristoro di Bruzzi, allestito sotto la veranda della locale trattoria, camminando in maniera meno sciancata del solito. Qui l’ostessa continua a sviaggiare con vassoi di ottima coppa e salame cui non offro resistenza alcuna, completando l’amena parentesi con un buon caffé espresso. Il responsabile del ristoro, pensando di incoraggiarmi, mi comunica che a Farini, prossimo check point della gara al 95° Km, mancano circa 13Km, praticamente quasi tutti in discesa: vi lascio immaginare il calvario di esser costretto a camminarli tutti, molti dei quali su agevoli sterrati ed addirittura tratti asfaltati che attraversano paesi spettrali nel cuore della notte, mentre tutte le persone che avevo ripreso da Bardi e probabilmente altre ancora mi superano nuovamente corricchiando in scioltezza.

Giunto nello stanzone della proloco di Farini, mi tolgo le scarpe e mi butto sdraiato sul pavimento: spossato non tanto per l’affaticamento quanto per la stanchezza da sonno in sé (sono infatti le 3 del mattino passate) e soprattutto, svanita l’eccitazione della notte per boschi che sempre mi stuzzica, per la frustrazione accumulata dopo venti ore di invaliditá permanente. Mancano 30Km, in pratica una lunga salita ed una lunga discesa, ed é evidente che ormai la devo portare in fondo. Come al solito cerco e trovo conforto nel cibo: finite tutte le scorte di minestrone, i magnifici addetti al ristoro improvvisano una succulenta spaghettata aglio olio e peperoncino, solo leggermente piccante, che tutti i pellegrini superstiti mostrano di apprezzare. Intorno alle quattro mi incammino non troppo convinto risalendo il Nure lungo la sua sponda sinistra, dove un largo stradone sterrato rifatto ed alcuni palazzi sventrati sono la terribile testimonianza della rovinosa alluvione del settembre 2015. Dopo un paio di Km praticamente pianeggianti comincia la lunga salita che, seppur affrontata piuttosto svogliatamente, mi consente di riprendere alcune persone, ripreso a mia volta e superato soltanto da una simpatica coppia di amiche, un’infermiera ed una dottoressa cui avevo chiesto consiglio al ristoro e che assai gentilmente, dopo tutte le raccomandazioni del caso, mi aveva consegnato una pastiglia di Aulin in previsione dell’ultima, da me temutissima, discesa.

Giunto alla localitá di Bolderoni mi godo per alcuni istanti la magnifica alba di un rosa talmente intenso che ammanta quasi incendiandola tutta la val Nure e mostra non troppo distante davanti a noi l’ultimo crinale da valicare. Finita la salita, mi fermo a riposare per una decina di minuti con un collega presso un fontone salvo scoprire poi che appena svoltato, dopo 50m, era allestito un ristoro, dove mi fermo un altro buon quarto d’ora sorbendo del té caldo. Il fatto che abbia ancora otto ore a disposizione per fare gli ultimi 17Km, non aiuta a motivarmi (ne impiegheró ancora 5 alla fine); i tre Km che su un facilissimo stradone sterrato in falso piano conducono alla Sella dei Generali lungo il crinale dell’Aserei, spartiacque tra Nure e Trebbia, sono a dir poco imbarazzanti: li cammino con passetti parkinsoniani, oltretutto lenti, ed ogni scusa, dal sistemare lo zaino ai bisogni corporali, é buona per una pausa.

Mentre il cielo si rannuvola minacciosamente, ripenso a come me la sia gufata appena 24 ore prima quando, parlando con la Mocellin della bella giornata, avevo tracotantemente sbandierato come in tutte le gare dell’anno in corso non avessi ancora preso una goccia d’acqua, che puntualmente arriva all’inizio della discesa: 43 anni e non aver ancora imparato a tacere! Si tratta comunque di poche stille che non bagnano neppure il primo tratto di asfalto iniziale ed il sassoso sentiero (un indicibile tormento con l’antidolorifico appena preso e non ancora in grado di fare effetto), che inaspettamente e fortunatamente immette nuovamente in un lungo tratto asfaltato in cui comincia a manifestarsi il sollievo della taumaturgica pastiglia. La pioggia si fa piú fitta proprio quando entro in un ripido e difficile tratturo in discesa, comunque abbastanza riparato dal fitto castagneto e che, con l’aulin completamente in circolo, riesco a camminare senza troppi problemi; faccio l’ingresso a Coli, ultimo ristoro della gara a 7Km dal traguardo, sotto una pioggia battente senza ormai nessun trailer in vista, né davanti né dietro. L’addetto mi offre scherzosamente un passaggio in macchina all’arrivo ed io lo supplico di non insistere troppo ....

Quando dopo uno strappo in salita intraprendo l’ultimo tratto di discesa, la precipitazione assume il carattere di diluvio biblico e, pensando alla scena del cimitero di Frankenstein Junior, mi chiedo come potrebbe andare peggio. La risposta non si fa attendere, con le frecce che indicano di proseguire lungo quello che mi vien difficile definire sentiero: un ripido budello con infiniti salti tra rocce che, dilavate dalla pioggia, risplendono lucenti la loro minacciosa untuositá. Puntellandomi con i bastoni ed attento a non far compiere neppure il piú piccolo slittamento alle suole, punito altresí da lancinanti fitte, mi muovo con l’estrosa perizia di quegli improbabili escursionisti della domenica che intraprendono difficili sentieri di alta montagna in camicia e mocassini all’uscita dal ristorante. In qualche modo vedo comunque Bobbio sempre piú vicina e riesco finamente a godermi l’ultimo Km sull’asfalto che costeggia la riva destra del Trebbia, ma soprattutto attraversando il fiume sullo stupefacente Ponte Gobbo, 11 arcate e quasi 300m di lunghezza per questa sinuosa opera ultramillenaria  che permette di valicare il larghissimo greto sottostante con l’emozionante saliscendi di montagne russe d’antan.

Concludo il mio percorso espiatorio, abate improbabile ma sicuro penitente, davanti al porticato dell’abbazia di San Colombano, dove i vincitori sono in attesa della premiazione: mentre recupero le borse saluto una raggiante Caterina terza assoluta tra le donne, giunta circa otto ore prima. Nello stato in cui sono mi porto via lo zaino del vincitore Fabio di Giacomo (arrivato da ormai 16 ore!) e quando sono giá alle docce ricevo la telefonata di Francesco che, resosi conto di quanto successo, mi avverte dello scambio .... chissá, senza la sua solerzia, sarei forse oggi in possesso della sacra reliquia, un potente talismano con cui affrontare i pellegrinaggi venturi .....